Il vescovo di Noto: «basta Pokémon, porterò il gioco in Tribunale, ho già dato mandato ai legali»

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    La sua cattedrale, quella di Noto, è un «pokestop», un punto dove si fa il pieno di «Pokéball», la palla che incapsula i pokémon selvatici. Un luogo di culto dove non ci si ferma per pregare ma per catturare i mostriciattoli e guadagnare punti. È un pokestop anche la stele in memoria di Falcone e Borsellino, a Palermo. Si vedono i ragazzi intorno e a tutto pensano tranne che alla mafia e alla vita dei due magistrati. Il vescovo di Noto, Antonio Staglianò, non ci sta. «I Pokemon Go creano dipendenza a un sistema totalitaristico che è pari a quello nazista. Ecco perché combatto quest’app che sta alienando migliaia e migliaia di giovani». «I Pokemon non si possono salvare – spiega – perché creano una realtà parallela in cui i ragazzi si divertono a catturare in giro per le città i mostri tascabili secondo una regia totalitaria e dove manca la partecipazione attiva e cosciente. Bisogna avere il coraggio di servirsi del proprio intelletto e non essere telecomandati, bisogna far uscire l’uomo da una condizione di minorità di cui egli stesso è responsabile». Vescovo questa è la ragione della sua crociata? «Non la definirei crociata, ha poco a che fare con la croce. Stiamo parlando dell’umano dell’uomo. La realtà virtuale occupa il territorio dell’umano, occorre una seria riflessione su questo fenomeno. Non si tratta solo di essere favorevoli o contrari ma di soffermarsi sull’esigenza di consentire ai giovani di assumere con responsabilità le proprie decisioni di vita senza essere telecomandati dalla realtà virtuale». Non crede che questo gioco abbia un aspetto positivo, che faccia uscire finalmente da casa i ragazzi spesso totalmente assorbiti dai giochi virtuali? «Vogliamo sostenere la tesi che si tratti di un gioco salutista, che faccia camminare? Non è diverso dagli altri. È noto che si possa andare a caccia di mostriciattoli anche standosene tranquillamente a casa, basta scaricarsi una apposita applicazione. Il punto è un altro». Quale? «Il gioco è distrazione. E non dar peso a tante cose può fare anche bene. Ma qui c’è il rischio di un nuovo totalitarismo che mette in rete tutte le persone in un unico contenitore. Sono isole isolate. Completamente alienate dalla realtà concreta ed è un rischio. Tutti inebetiti da questo mondo che nulla ha a che fare con la realtà». Sta preparando una azione legale contro il «Pokémon go»? «Ho chiesto a due legali di studiare l’eventuale fattispecie di reato. Quando si incide sulla libertà di pensiero di una persona qualcosa non va. Ogni essere umano ha diritto ad esercitare il proprio pensiero e se arriva un gioco che mi imballa il cervello occorre riflettere seriamente». Durante le sue omelie ha parlato dei rischi legati alla realtà virtuale? «Assolutamente no, mi occupo di orientare i nostri giovani, della comunità, a prendere coscienza del mondo che ci circonda. Siamo passati da maestri del sospetto alla realtà virtuale senza considerare minimamente ciò che accade intorno a noi, le scelte che vengono fatte dai big della terra. Basti pensare all’ultimo caso, il burqini. Un dibattito di rilievo mondiale. Come si fa a sostenere che fare il bagno con il burqini sia contro i valori della Francia? Si vuole negare il laicismo francese. Ci vorrebbe una «Pokéball» per incapsulare questa stupida idea». Come pensa di continuare la sua battaglia? «Intanto andando in giro. Dove ci sono i ragazzini a caccia di mostriciattoli, mi fermerò a parlare con loro, li farò riflettere, cercherò di convincerli a riappropriarsi delle proprie vite e a riflettere. Sarò un vescovo “go”». (Elena Romanazzi – Il Mattino)

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