E’ già lirica d’estate in città

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L’Orchestra Sinfonica Claudio Abbado ha presentato le sue voci al teatro delle Arti, mentre la Wind Orchestra dell’Alfano I si è esibita nell’atrio del duomo con tre cantanti

 

Di OLGA CHIEFFI

E’ già lirica d’estate in città. Le giornate si allungano le serate sono piacevoli e il pensiero va alla bella stagione in cui i carri di Tespi giunti dall’Est europeo girano per le località vacanziere improvvisando, tra una festa patronale e l’altra, tra un concerto all’alba e un matinèe, rècital, opere, sinfonie, musical, musica da film, canzonieri napoletani, inno d’Italia e Radetszky March. Due i concerti della scorsa settimana in città, la neo-nata Orchestra Sinfonica di Salerno “Claudio Abbado”, di stanza al Teatro delle Arti del suo presidente onorario Claudio Tortora che l’ospiterà anche all’Arena del Mare, agli ordini di Ivan Antonio e la Wind Orchestra del liceo musicale Alfano I diretta da Giovanni D’Auria, che ha onorato San Matteo nel suo Duomo. Un fiorire di esibizioni pubbliche e di concorsi, tra Salerno e in provincia, orchestre di licei musicali, medie e altro, che, purtroppo, non vede, su alcun palcoscenico, l’Orchestra del Conservatorio “G.Martucci” di Salerno e ce ne chiediamo il perché, visto che buona parte degli studenti della massima istituzione cittadina, fa leggio in tutte queste formazioni, pur se per una manciata di euro, orchestrate da persone non sempre all’altezza della situazione. Ricordiamo che una volta si doveva chiedere il permesso al Conservatorio, se si era allievi per potersi esibire al di fuori dei complessi scolastici e in pubbliche manifestazioni non promosse dall’istituzione stessa, per evitare di inficiare la preparazione offerta dai docenti. Entrambe le formazioni si sono presentate in pubblico con voci liriche protagoniste, l’OSSCA di Ivan Antonio ha proposto al pubblico il soprano Annalisa D’Agosto, il mezzosoprano Beatrice Amato, il tenore Alessandro Fortunato, e il baritono Luigi Cirillo, mentre la Wind Orchestra di Giovanni D’Auria si è trasformata in banda lirica, grazie ad Antonio Marzullo, ospitando il mezzosoprano Maria Luisa Lattante, il tenore Enrico Terrone e il baritono Roberto Montanino, tutti artisti che hanno iniziato la loro carriera nel coro del teatro Verdi di Salerno. L’OSSCA ha migliorato la sua performance, dopo il pretestuoso debutto in aprile, con l’Ouverture del Guglielmo Tell di Rossini e la V Sinfonia di Ludwig Van Beethoven. Il momento migliore della serata si è avuto con l’esecuzione dell’ouverture da “Le nozze di Figaro”, apprezzabile nell’insieme, pur non avendo raggiunto l’equilibrio in pieno tra archi e fiati per la parvità dei primi. Si sa, i fiati, in Mozart, sono gli affetti umani, e gli archi, il motore della storia e devono ben amalgamarsi in questa eccezionale pagina. Poi, alla ribalta il convincente Figaro di Luigi Cirillo, voce sicura e buon controllo, che è riuscito ad evocare nel “Non più andrai farfallone amoroso”, melodia citata anche nel finale del Don Giovanni, quel cinismo adottato come antidoto alla paura d’amare, nel quale risiede il segreto della modernità mozartiana. Non della stessa resa purtroppo, l’ “Udite o rustici” in cui, lo stesso Cirillo ha vestito gli abiti di Dulcamara, non riuscendo ad impressionare il pubblico con il volume di voce, ma unicamente con la sua affettuosa simpatia, mentre nell’aria verdiana “Di Provenza il mare il suol”, strani accenti hanno stravolto quel borghese affetto paterno, petulante e “fastidioso”, che rende sì antipatica, questa aria, ma pur coerente al momento. Il mezzosoprano Beatrice Amato, timbro fascinoso il suo, si è cimentata nell’aria di sortita della Rosina del Barbiere di Siviglia “Una voce poco fa” eliminando con un colpo di spugna tutte le colorature, dissolvendo anche quelle contenutissime della Berganza che segue la renaissance rossiniana della revisione di Alberto Zedda.  Buona prova, invece, nell’aria della fascinazione di Dalila, ma stavolta è l’orchestra a sparire del tutto, incapace di rendere la ricchezza lussureggiante e nascosta dei profumi musicali che devono “annebbiare” una scena di narcotizzante bellezza e perfidia. Dalila non guarda alla Isotta wagneriana, ma alla proletaria Carmen, che la Amato ha reso in un francese molto discutibile, ma musicalmente giusta nella sua aria principe “L’amour est un oiseau rebelle”. Note dolenti per il tenore Alessandro Fortunato, voce e studi ancora in nuce per poter affrontare arie del calibro di “Una furtiva lacrima”, per la quale Ivan Antonio ha mozzato anche la famosa cadenza di ascendenza carusiana, “La Donna è mobile”, “Recondita armonia”, risparmiandoci fortunatamente il “ E lucevan le stelle”, ma senza potersi naturalmente esimere dal lanciare il “vincerò” di Calaf dal palco del Delle Arti. Il soprano Annalisa D’Agosto, ha buoni numeri, espressi nell’aria di Gilda dal Rigoletto “Caro Nome”, ma pecca di rotondità nel registro acuto. Ha dignitosamente dato voce a Mimì, eludendo poi, il recitativo di Violetta “E’ strano, è strano!” attaccando direttamente la cabaletta “Sempre libera degg’io”, senza Mi bemolle acuto (per carità non in partitura!) ma che certo pubblico, abituato alla lirica estiva, in platea attendeva, in cui la voce non perfettamente rotonda in particolare nelle agilità acute non può certo essere contemplata nel nostro famoso legato all’italiana, che ha da snodarsi come un gomitolo d’argento, specialmente in Verdi. Le pecche delle varie voci, naturalmente hanno sconquassato anche i pezzi d’assieme, il celebre quartetto “Bella figlia dell’amore” e “Libiam nei lieti calici”. Riguardo le esecuzioni di ouverture e preludi, da premiare le pagine dove imperano i legni come il “Barbiere di Siviglia”, anche se qualche troncamento eccessivo, in particolare nelle prime battute, e la poca attenzione all’agogica, al contrasto, ci hanno lasciato un po’ l’amaro in bocca. Preludio della Traviata da dimenticare per pochezza di suono e soprattutto d’intonazione dei violini. Alla fine della serata eccellentemente condotta da una Concita De Luca tutta d’oro, ormai esperta storyteller musicale, Ivan Antonio ha ammesso di aver concertato il tutto in tre prove, e si è sentito, purtroppo. Invochiamo qualche prova in più

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