Il computer con l’archivio di Giulio Regeni e quell’ultima mail a metà gennaio. L’ipotesi che sia stato tradito

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    Giulio Regeni aveva un vero e proprio archivio con nomi e numeri di telefono di sindacalisti e dissidenti egiziani. Oppositori al regime del presidente Abdel Fattah al Sisi contattati nell’ambito del suo lavoro per l’Università di Cambridge. Di queste relazioni personali, che coltivava partecipando ad assemblee e incontri, teneva costantemente aggiornati i docenti e il tutor che lo seguivano all’American University. Ma anche i suoi referenti nel Regno Unito. L’ultima mail alla professoressa Maha Abdelrahman per renderle conto dello stato del suo lavoro è stata spedita il 15 gennaio, dieci giorni prima della scomparsa. E qualche giorno dopo aveva fissato un appuntamento «con una persona importante per il mio lavoro», come aveva raccontato a un suo amico interrogato nelle ultime ore dal pm di Roma Sergio Colaiocco. Il sospetto è che qualcuno lo abbia tradito vendendo parte delle sue informazioni, ma adesso bisognerà capire quale segreto volevano carpire i suoi aguzzini. Per quale motivo lo abbiano torturato fino a ucciderlo, pur avendo ormai preso il suo telefonino e, dunque, la sua rubrica. Cellulare e computer. Carabinieri del Ros e poliziotti dello Sco stanno analizzando il contenuto del computer recuperato dalla famiglia nell’appartamento del Cairo. L’esame dei dati — incrociato con le testimonianze degli amici — fa emergere una modalità quasi maniacale di custodire le notizie raccolte, così come di approfondire la conoscenza con gli interlocutori. Con ogni persona che incontrata per lavoro Giulio Regeni si fermava a parlare, poi scambiava numeri di telefono e indirizzi mail, li invitava spesso a vedersi di nuovo al bar. Annotava ogni dettaglio, informava i suoi amici dei progressi. Sempre appassionato per un lavoro che lo aveva portato a esplorare un mondo vicino ai suoi ideali, come dimostrano gli scritti che aveva pubblicato sul sito internet «Nena news». Anche per questo uno dei suoi punti di riferimento al Cairo era diventato Hassanein Keshk, tra gli oppositori più strenui del regime. Regeni era entrato in contatto con i rappresentanti dei venditori ambulanti e dei tassisti, diventati poi suoi preziosi informatori. La società di consulenza. Per la sua capacità di approfondire era molto apprezzato nel mondo universitario, ma non solo. Da settembre 2013 aveva lavorato per un anno con una società di consulenza inglese, la «Oxford Analytica», specializzata in «analisi globale» per multinazionali, istituti finanziari e governi. L’azienda è stata fondata nel 1975 da David Young — ex assistente di Henry Kissinger ed ex membro del National Security Council statunitense — e nel suo board ha l’ex sottosegretario di Stato Usa John Negroponte e l’ex capo dei servizi segreti inglesi Colin McCole. I suoi responsabili non hanno però voluto rivelare le sue mansioni. In precedenza aveva avuto un’esperienza di tre mesi al Cairo, come esperto dell’Agenzia Onu per la cooperazione industriale. Quanto basta per comprendere quanto ampia fosse la sua sfera di relazioni e per quale motivo Regeni possa essere stato tradito da qualcuno che aveva accesso al suo lavoro e a sua insaputa abbia poi sfruttato e utilizzato il frutto dell’attività che svolgeva per «venderlo» a un apparato di intelligence. Video e depistaggi. In questo contesto bisogna adesso scoprire chi e perché avesse deciso di togliere di mezzo Regeni. La «prolungata tortura» alla quale è stato sottoposto fa ritenere che lo ritenessero custode di un importante segreto. Più difficile credere che le sevizie fossero una semplice punizione, soprattutto perché si trattava di uno studente italiano e con il nostro governo l’Egitto ha sempre avuto interesse a mantenere buoni rapporti. A meno che non si dia valore alla tesi di chi ritiene che gli aguzzini del ricercatore avessero come obiettivo quello di incrinare il legame tra i due Stati, forse per motivi di interesse legati alle commesse o ancor più al mega giacimento che l’Eni ha scoperto nell’offshore egiziano del mar Mediterraneo. È uno scenario che viene esplorato con molta cautela, ma non definitivamente escluso anche tenendo conto dei numerosi personaggi che si sono affacciati nelle ultime ore sulla scena dimostrandosi veri e propri depistatori. Uno è certamente il testimone citato dal New York Times, che sostiene di aver visto Giulio «mentre veniva portato via da due agenti in borghese», ma è stato smascherato quando ha parlato delle 17.30 del 25 gennaio, evidentemente ignaro che due ore dopo Regeni avesse parlato con la fidanzata e con il suo professore. Altri che continuano a usare i media locali per far filtrare informazioni false sulle ultime ore trascorse da Giulio prima della cattura. Altri ancora che avrebbero cancellato le immagini delle telecamere piazzate sulla strada che il giovane fece per andare dal suo appartamento all’appuntamento con il professor Gervasio dove non è mai arrivato. (Fiorenza Sarzanini – Corriere della Sera)

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