Profughi, Slovenia e Austria pronte a chiudere i confini. Le regole di Schengen rischiano di finire in soffitta

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    Confini che si chiudono uno dopo l'altro. Un effetto-domino che sta contagiando l'Europa. La Slovenia lo ha annunciato per prima ieri, poi poco dopo anche la Croazia – che deve vedere ancora insediarsi il nuovo governo – si è messa in coda. Il governo di Lubiana ha diramato una nota in cui avverte che se l'Austria e la Germania dovessero veramente limitare l'accoglienza dei migranti, la Slovenia potrebbe adottare le stesse misure, compreso il controllo dei documenti alla frontiera. Poco dopo Karamarko – il leader del maggiore partito di centrodestra in Croazia, e quasi vicepremier nel nuovo governo che debutterà venerdì – ha detto che anche Zagabria chiuderà i confini se lo farà la Slovenia. Tutto questo a due giorni di distanza da un'intervista del cancelliere austriaco Faymann pubblicata dall’Oesterreich che annunciava di voler rafforzare il controllo alle persone: «Chi non ha diritto all'asilo tornerà indietro». Quello che ha avuto un'eco in Europa, di quell'intervista, era la volontà di voler «annullare temporaneamente» Schengen. In realtà l'Austria quelle regole le aveva già sospese da settembre, così come la Germania. Non quindi una novità. La convenzione di Schengen consiste nella libera circolazione delle persone all'interno dei Paesi – non solo dell'Ue – che vi hanno aderito. Vienna ora ha solo notificato di prolungare i controlli temporaneamente fino a febbraio. La Commissione Ue ha confermato che lo può fare, perché le regole dell'accordo prevedono la possibilità di una sospensione temporanea. La novità, semmai, è che l'Austria potrebbe estendere i controlli anche al confine sul Brennero, quello cioè con l'Italia. Se temporanee, quindi, le sospensioni sono ammesse dallo stesso trattato di Schengen e lo ha ricordato ieri anche Natasha Bertaud, portavoce alla migrazione della Commissione Ue. Ma questa temporaneità rischia di diventare un grimaldello per far saltare quell'idea di un'Europa senza confini. Idea che a parole difendono gli stessi Paesi che per primi hanno chiesto la sospensione delle regole. Ma l'Austria lamenta che, avendo già accolto 90mila richiedenti asilo lo scorso anno, non si sente in grado di far fronte a un numero di arrivi che nel 2016 è preventivato come più elevato. Il ministro degli Esteri Sebastian Kurz ha alzato la voce a Bruxelles avvertendo che, se non si arriverà a una soluzione condivisa, bisognerà «ricorrere a misure nazionali o a un coordinamento tra pochi paesi dell'Unione». Kurz ha anche polemizzato con la Merkel: «La politica dell'accoglienza e dell'invito non è la soluzione». La cancelliera con i migranti che arrivavano in Germania esibendo la sua fotografia, paga in Patria e in Europa il conto di quell'apertura. L'Unione cristiano-sociale, il partito che nella Baviera è il clone dell'Unione cristiano-democratica (Cdu) di Merkel, le ha lanciato una sorta di ultimatum. E cinquanta parlamentari della sua Cdu le hanno scritto una lettera, che sarà consegnata oggi, per chiederle un cambio di rotta. Mentre i segnali, in Europa, sono tutti di malessere. E se Slovenia e Croazia parlano di Schengen, il presidente della Repubblica Ceca Milos Zeman ieri ha messo il carico sulle differenze culturali: «L'esperienza dei paesi occidentali, dove ci sono veri e propri ghetti, dimostra che l'integrazione della comunità musulmana praticamente non è possibile». (Fabio Morabito – Il Mattino)

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