L’angolo del teologo: 3. L’arte e la religione

Più informazioni su

    La forza simbolica dell’arte consiste nel “mettere insieme” (sym-ballein) in bellezza, narrare in un atomo ricreativo la bellezza stessa del cosmo in intero (il tutto nella parte). Il tema del sublime e del «brivido sacro» è un tema caro anche a Goethe che in Wilhelm Meister. Gli anni di viaggio descrive la percezione attenta di un cielo stellato: «La notte, una notte trasparente, brillava e scintillava con tutte le stelle, avviluppando lo spettatore che aveva l’impressione di contemplare per la prima volta l’immensa volta del cielo in tutto il suo splendore» . Quando Van Gogh adopera il termine religione, sembra proprio che pensi, non tanto a una pratica religiosa, quanto a un’emozione di carattere mistico, a un sentimento di comunione con la natura, come scrive al fratello: «Ho un bisogno terribile di religione, allora di notte vado a dipingere le stelle» . Potremmo pure paragonare quest’affermazione con ciò che Cezanne disse un giorno a Joaquim Gasquet: «L’arte, io credo, ci cala in uno stato di grazia, in cui l’emozione universale si traduce in qualcosa di religioso, ma anche di molto naturale, in noi. L’armonia generale, come nei colori, dobbiamo ritrovarla ovunque» , e, soprattutto: «Se la mia tela è satura di questa vaga religiosità cosmica, che mi emoziona, che mi rende migliore, essa toccherà anche gli altri in un punto della loro sensibilità che forse ignorano» . Sicché una delle dimensioni esistenziali dell’esistenza umana diventa a questo punto il «brivido sacro» , misto di angoscia e meraviglia davanti a un mistero e a un enigma insondabili . È Dio, dice Agostino, a svelarci i segreti della natura, a far sì che «essi facciano apparire sotto i nostri occhi forme visibili colme di bellezza, svincolandole dai veli nascosti e invisibili che le ricoprono» . Al mondo della percezione abituale si contrappone il mondo della percezione estetica: «Contemplare l’universo con occhi da artista» diceva Bergson . «Ciò significa: non percepire più le cose da un punto di vista utilitario, selezionando unicamente ciò che pertiene alla nostra azione sulle cose, divenendo così incapaci di vedere le cose per come esse appaiono, nella loro realtà e unità . «Perché dividiamo il mondo? – domanda Cezanne – È il nostro egoismo che vi si riflette? Vogliamo tutto a nostro uso» . Al contrario, dice Bergson, quando gli artisti guardano una cosa, «la vedono per come essa è e non più per come essa è per loro. Non percepiscono più in vista dell’agire, percepiscono per percepire per null’altro, per puro piacere» . C’è dunque un’affinità profonda tra l’approccio estetico e quello etico: il primo si basa sull’interesse per il bello, il secondo sull’interesse per il bene. Alexander Baumgarten raccomanda, del resto, a chiunque voglia acquisire una formazione estetica taluni esercizi, una sorta di «ascesi», tale da creare un accordo tra le potenze dello spirito e quelle del sentimento . Souche (XI secolo) parla di un pittore che, dipingendo un bambù, perde la coscienza di sé e lascia il suo corpo, per divenire egli stesso bambù . Ma nulla, in effetti, può superare la perfezione di un essere vivente. Come dice Goethe: «Che cosa deliziosa e magnifica che è un essere vivente! Come è ben adatto alla sua condizione, come è vero, come è» . Come «è»!
    Diventiamo “gloria” di Dio, ad maiora, Aniello Clemente.

    3. L’arte e la religione


    mail: aniello_clemente@libero.it (Utente dal Web)

    Più informazioni su

      Commenti

      Translate »