Arabia. Giustiziato un imam, rivolta dell’Islam sciita. Eseguite 47 condanne a morte. In Iran a fuoco ambasciata saudita

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    «Incitamento alla lotta settaria». Con quest'accusa era stato condannato a morte in Arabia Saudita Nimral Nimr, 56 anni, popolarissimo imam sciita. La sua esecuzione, e quella di altri 46 condannati, definiti «terroristi» dal regime saudita, è avvenuta ieri. Sono stati fucilati da un plotone di esecuzione oppure decapitati. La più grande esecuzione di massa nella monarchia saudita da 35 anni, anche se poi le sentenze di ieri sono state eseguite in dodici luoghi diversi. Alcuni corpi sono stati appesi in pubblico. Un inizio d'anno nel sangue. In Iran la risposta è subito violenta, con l'ambasciata saudita a Teheran presa d'assalto da decine di manifestanti che hanno lanciato bombe incendiare contro la rappresentanza diplomatica e l'hanno saccheggiata, prima di essere dispersi dalla polizia. Le proteste spaziano dall'Iraq al Libano allo Yemen, dove tra l'altro la Coalizione araba a guida saudita che combatte i ribelli sciiti Houthi ha annunciato la fine di una tregua cominciata il 15 dicembre per l'avvio di negoziati. Prima dell'assalto all'ambasciata si era avuto notizia di un primo attacco al consolato saudita a Mashaad, nel nord dell' Iran: su twitter sono rimbalzati foto e filmati in cui si vedono alcuni dimostranti scalare la recinzione che protegge il consolato ed impossessarsi della bandiera saudita. Nelle immagini si vedono anche divampare delle fiamme. Al Nimr era stato il leader di un tentativo di «primavera araba» nella monarchia saudita quattro anni fa. Venne arrestato nel 2012 per aver criticato la famiglia reale. Fu condotto al processo dopo qualche mese ed aveva i segni di probabili torture. Eppure, Nimr al Nimr era notoriamente considerato un leader pacifista. Che invitava i suoi seguaci a rispondere ai proiettili della polizia con il «ruggito della parola». E parole concilianti, dopo l'esecuzione, ha avuto suo fratello Mohammad al Nimr, che vive a Riad: «Speriamo che ogni reazione sia pacifica, c'è stato abbastanza spargimento di sangue». Il figlio di Mohammad, e nipote di Nimr al Nimr, è anch'esso in carcere e condannato a morte, benché abbia appena 17 anni. Ma non è nell'elenco degli uccisi e Mohammad ha certo pensato a lui chiedendo pace. Riad ha aspettato l'anno nuovo per mandare a morte i 47 condannati. E respinge ogni discriminazione confessionale: solo 4 dei condannati sono sciiti. Tra gli altri, tutti sunniti (e tutti sauditi, tranne un egiziano e un cittadino del Ciad) c'è anche Fares al Shuwail, considerato il capo di Al Qaeda nel regno. Era in carcere da 11anni. Ci sono state proteste, in Arabia Saudita come in Bahrein, ma senza grandi folle. «L'esecuzione di Nimr vi costerà cara» ha detto Hossein Jaberi Ansari, portavoce del ministro degli Esteri iraniano. L'ambasciatore saudita è stato convocato per una protesta formale. Iniziative di normale tensione diplomatica e anche Riad ha convocato l'ambasciatore iraniano per chiedergli conto delle dichiarazioni ostili. Il re saudita Salmanbin Abdulaziz Al Saud poteva salvare l'imam. Commutando la condanna, oppure con il perdono. Ma non ha voluto farlo. «Non ho dubbi – ha detto l'ayatollah Ahmad Khatami dall'Iran – che questo sangue puro macchierà la casa dei Saud». Ma sono parole. Come anche quelle dell'Ayatollah Ali Khamenei, la massima autorità religiosa iraniana. (Fabio Morabito – Il Mattino) 

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