Giudici di pace tra falsi testimoni, liti tra fidanzati, sentenze scritte a mano. Il questionario-verità

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    Testimoni che recitano come comparse, ex fidanzati che si querelano dopo una lite per strada, vicini di casa condannati per ingiuria per essersi versati dell’acqua addosso. Nell’era della riforma telematica della giustizia, poi, molti giudici confessano ancora di redigere le sentenze a mano perché non hanno imparato ad usare il pc. È il ritratto che emerge sull’attività dei giudici di pace da una ricerca condotta dal Sole24Ore.com a Roma, Milano, Firenze e Napoli, attraverso un questionario. Rigorosamente anonimo.

     

    I risultati dell’indagine
    A Milano, su ventisei giudici di pace intervistati, ventuno hanno dichiarato di aver avuto dubbi sull’attendibilità dei testi nelle cause relative agli incidenti stradali, uno soltanto ha candidamente confessato di avere sempre il sospetto di trovarsi davanti a un testimone falso, mentre appena in quattro hanno affermato di non avere avuto mai alcuna perplessità. Nel caso in cui si sospetti che il testimone sia indotto, solo in casi rari si arriva a denunciarlo; nella maggior parte delle ipotesi si va avanti e non si tiene conto della prova, oppure si procede al confronto tra i testi che si sono contraddetti.

    Non va meglio a Roma dove dai dati raccolti dal coordinatore dei giudici di pace emerge che a volte capita di avere dei dubbi sull’attendibilità dei testi quando sono in gioco i risarcimenti danni a seguito di sinistri. Stessa risposta da Firenze, dove il coordinatore afferma però di aver segnalato tutti i casi sospetti alla Procura della Repubblica. Soltanto a Napoli, dove le truffe alle assicurazioni sono le più numerose in Italia, la coordinatrice dei giudici di pace afferma con certezza di non avere mai avuto dubbi sulla buona fede dei testi citati.

    Nel penale, invece, le ingiurie e le minacce vedono coinvolti soprattutto familiari, in particolare ex coniugi o ex fidanzati, ma anche vicini di casa. Quando la storia finisce, resta spesso il ricordo di un brutto litigio, che sempre più spesso finisce nelle aule dei giudici di pace. Oltre alla condanna penale, si rischia anche di dover risarcire l’ex con una somma di denaro. Un’offesa può costare cara, anche se pronunciata alla fine di una storia d’amore per rabbia o gelosia.

    Quel rapporto complicato con l’informatica
    Lo scenario non è molto incoraggiante nemmeno dal punto di vista tecnologico. La mancanza di fondi non aiuta, ma restano ancora molti i giudici che non hanno un buon rapporto col pc. A Firenze soltanto una minoranza usa il computer per redigere le sentenze, a Milano invece 23 giudici su 26, mentre i coordinatori di Roma e Napoli dichiarano di usarlo, ma non sempre.

    La maggior parte delle cause, però, continua a riguardare le opposizioni contro le infrazioni al codice della strada. Secondo i giudici intervistati, in media oltre il 50% dei procedimenti finisce con l’annullamento della multa. La maggior parte dei ricorsi viene redatto personalmente, senza l’ausilio di un avvocato e le cause a volte si concludono anche all’esito della prima udienza, ma spesso può passare anche oltre un anno per arrivare alla sentenza.

    Su un punto però sono tutti d’accordo. A rallentare il lavoro della giustizia cosiddetta minore è soprattutto la carenza di organico, ma resta la fiducia nella diffusione delle cancellerie telematiche che per la maggior parte degli intervistati migliorerà decisamente la situazione. E non resta che augurarselo.

    Le storie
    Un tempo i battibecchi tra marito e moglie e le goliardate tra amici iniziavano e finivano tra le mura domestiche o al massimo tra le strade del quartiere. Oggi anche uno scherzo, troppo audace, rischia di finire nelle aule di giustizia. Proprio sulle scrivanie dei giudici di pace dove ogni anno confluiscono circa 2 milioni di nuovi procedimenti.

    La riforma del processo penale si farà, forse. Intanto, Anna ha querelato il suo ex fidanzato che l’ha offesa «lungo la pubblica via» alla fine di un litigio. E vuole andare avanti perché – si sa- la questione è diventata di principio e l’ex deve essere punito. Se Anna fosse disposta a chiudere il processo in fretta, ritirando la denuncia, adesso il suo ex le offrirebbe anche una somma a titolo di risarcimento danni. Ma ci sono i testimoni e lei vuole che l’offesa sia punita. Il processo dura quasi due anni e alla fine il giudice decide che il reato non c’è: le minacce, a conclusione di una lite ed in strada, non sono reato perché non sono idonee ad incutere timore nel destinatario. Con buona pace di Anna che non otterrà il risarcimento danni richiesto e del suo ex che intanto ha passato due anni a pagare l’ avvocato e a temere per l’incensuratezza della propria fedina penale.

    Va ancora peggio a Luca, trascinato da un suo vicino di casa in aula per avergli gettato una bottiglietta d’acqua addosso, dopo aver minacciato più volte l’insano gesto. Per il giudice questa volta il reato sussiste: è ingiuria e il vicino dev’essere punito penalmente. A Catania, invece, davanti al giudice di pace sono finite anche le risse durante le partite di calcio. C’è chi picchia l’arbitro e viene condannato per lesioni, ma assolto da ingiurie e minacce. Nessuno dei testi dichiara di aver sentito parolacce, anche il pugno da lontano si vedeva male. Resta però quel verbale del pronto soccorso che vale una condanna.

    fonte:sole24ore              miki de lucia

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