Liste di Attesa al Pascale a Napoli più grave la malasanità che la carne per il tumore

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Liste di Attesa al Pascale a Napoli  più grave la malasanità che la carne per il tumore, oggi ne fa l'apertura il primo quotidiano della Campania Il Mattino.  «La lista di attesa per la prima visita è arrivata a quattro settimane, cosa mai accaduta», spiega il dottore Paolo Muto. «Sono appena intervenuto con l’obiettivo di anticipare le prenotazioni fissate al 20 novembre, perché mi è parso brutto… Far aspettare un mese i pazienti, e poi comunicare di non poter accoglierli». Respinti perché ce ne sono tanti altri già in attesa. Le strutture pubbliche indietreggiano, e il privato avanza. Difatti, al Pascale la lista per accedere alla radioterapia è lunga altri due mesi: un limbo insopportabile per cui non resta che rivolgersi ai centri convenzionati, che pure non riescono a intercettare tutte le richieste: 4 mila pazienti sono emigrati nel 2014 o, peggio, non hanno fatto la radioterapia (stima Muto). Nell’istituto di rilievo nazionale, principale punto di riferimento per la cura e la ricerca, gli ammalati vengono così dirottati altrove, mentre le attrezzature restano sottoutilizzate perché manca il personale. Muto, primario della radioterapia, prosegue: «Ho convocato i pazienti in un turno extra pomeridiano, tra una settimana, per spiegare le difficoltà». La linea dettata ai medici dal primario è questa: «Daremo indicazioni al trattamento terapeutico, ma non potremo accogliere altri pazienti». Rimandati a casa. «Perché abbiamo attrezzature di ultima generazione che ci consentirebbero di lavorare dodici ore al giorno e usare due macchinari contemporaneamente, ma non abbiamo abbastanza specialisti e tecnici di radioterapia per farlo, a causa del blocco delle assunzioni e dei trasferimenti. Ma in questo la Regione deve venirci incontro: abbiamo presentato un piano che prevede almeno di dare a una ditta esterna la possibilità di venire qui a lavorare, se il servizio pubblico non può fare di più». Aggiunge Muto: «Il problema va risolto domani mattina, non tra sei mesi». La carenza di personale colpisce al cuore il Pascale: costringe a tenere chiuse anche tre sale operatorie su sei, che peraltro non lavorano nemmeno fino a sera, nonostante l’enorme richiesta di assistenza. Difatti, si aspetta anche quattro mesi per un intervento chirurgico, ad esempio alla prostata. «I tetti di spesa non consentono di assumere altro personale», spiega il commissario straordinario dell’istituto, Loredana Cici, che per aggirare (in parte) l’ostacolo punta a trasferire gli infermieri dai reparti alle sale operatorie. «Stiamo razionalizzando le risorse interne con l’obiettivo di riaprire, agli inizi di novembre, le sale operatorie chiuse. In più, stiamo cercando di potenziare il day hospital per eseguire con questa formula gli interventi meno complessi». Soluzioni che lo stesso commissario riconosce essere insufficienti. Così come sono a dir poco scarsi i programmi di prevenzione realizzati in Campania. Serve un intervento globale. Basta un dato per rendersene conto, quello sul test per scoprire il tumore al colon retto. «Uno screening efficace significa vite salvate», interviene Grazia Grazzini, dell’Osservatorio nazionale screening. Invece, in Campania sono stati inviati ad aderire allo screening gratuito solo 170mila residenti su 810mila «aventi diritto» nel 2014. «A Pozzuoli il prohramma non è proprio partito», dice Domenico Adinolfi, medico di famiglia e consigliere dell’Ordine dei medici. A Napoli la lettera è stata mandata solo a 2.008 uomini e donne più a rischio d’ammalarsi, tra i 50 e i 74 anni, cioè all’1.6 per cento degli «obiettivi». «Ma la diagnosi precoce è decisiva per aumentare le probabilità di sopravvivenza e anche per evitare un intervento invasivo. La patologia colpisce 40 persone ogni 100mila abitanti», sottolineano Raffaele Palombino e Franco Bianco, che curano uno dei programmi di screening più avanzati. Lo sa bene Renato Pizzuti, esperto di livello che ha curato il programma di prevenzione della Regione Campania e da poco è stato nominato alla guida della Asl di Napoli. «Il problema l’ho affrontato, ma non l’ho ancora risolto: ammesso che ci riuscirò». Il motivo? «Ci sono molte difficoltà organizzative». Ad esempio. «Mancano gli endoscopisti, perché quelli in organico fanno attività clinica. E la questione degli screening non può essere scisso dalla rete oncologica, altrimenti illudiamo le persone». Pizzuti si riferisce anche ai 92 mini-centri («o 115, a me ne risultano di più…») che accolgono le persone affette dal cancro in Campania. «Purtroppo, se il paziente non è ben indirizzato, inizia un viaggio della speranza che porta a eseguire una moltitudine di esami inutili e costosi», fa notare Fortunato Ciardiello, professore di oncologia medica della Seconda Università di Napoli, nonché presidente della European Societu for medical oncology. Alla fine, la cura diventa anche un business. «C’è chi se ne approfitta», interviene Antonio Giordano, direttore dello Sbarro Institute di Filadelfia che si occupa di ricerca per il Pascale. «Addirittura – accusa Giordano – si sono creati imperi economici basati sull’anomalia del sistema, il doppio binario pubblico-privato». Il «cancer divide», il divario Campania, si deve combattere anche su questa linea sottile.

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