Il presidente Obama sbaglia ma anche io ho commesso due errori

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    Non rimango turbato quando qualcuno attacca le mie idee. Al contrario: penso che non si prenderebbero il disturbo di farlo se non ritenessero che io sia effettivamente in grado di influenzare il corso degli eventi.

    Ad esempio, recentemente ho letto sulla homepage della pagina web di Yahoo! Finance un articolo intitolato: «Krugman sbaglia! Gli stimoli ‘danneggiano l’economia’, dice Brian Wesbury». In un’intervista video, Wesbury, un economista della First Trust Portfolios, una società di servizi agli investimenti dell’Illinois, mette in guardia dai pericoli della spesa pubblica: «La mia opinione è che gli stimoli ‘destimolano’, perché spostando le risorse da un settore a un altro si va a interferire con l’ordine naturale delle cose, influenzandolo, a mio parere, in modo negativo».
    Ma gli intervistatori fanno notare che «Paul Krugman ripete fino alla nausea» che gli stimoli sono necessari. «
    Lo Stato non ha l’obbligo di creare crescita», risponde Wesbury.
    Ero tentato di ignorare questi commenti, ma poi mi sono ricordato che Wesbury non è uno qualunque.

    Dopo tutto, pochi di noi possono vantare nel loro curriculum un promemoria agli investitori nel giorno del tracollo della Lehman Brothers, nel 2008, che recitava: «La buona notizia è che questo terremoto finanziario difficilmente si trasformerà in un terremoto economico. I prestiti di cattiva qualità fatti all’inizio del decennio non hanno creato un boom economico diffuso; e scoprire fino a che punto quei prestiti erano cattivi non provocherà un tracollo economico».

    Quando Wesbury dice che io mi sbaglio, forse è il caso di non fidarvi più di tanto.
    Io ho mai commesso errori importanti? Sì. Due, a mio parere. (Tanto per essere chiari, sto parlando di errori professionali. Gli errori di altro genere sono affari miei!)
    Il primo è stato a metà degli anni 90, quando giudicai irrilevanti le prime notizie su un’impennata della crescita della produttività negli Stati Uniti legata alla diffusione della tecnologia informatica. Ero convinto che ci fosse una falla logica nella tesi, poi estrapolai e criticai tutto quello che dicevano gli entusiasti. E invece l’impennata della produttività era reale.

    Il secondo errore l’ho fatto intorno al 2003.
    Dopo l’invasione dell’Iraq, l’amministrazione Bush fece affidamento sull’illusione di una vittoria facile per far passare altri tagli delle tasse, nonostante le proiezioni di bilancio usate per giustificare la prima tornata di tagli si fossero già rivelate di gran lunga troppo ottimistiche.
    Approvare tagli alle tasse permanenti in tempo di guerra (e senza tagli alla spesa per compensarne gli effetti negativi) mi sembrava un comportamento da repubblica delle banane. (E in seguito approvarono anche un’espansione del programma Medicare senza la copertura finanziaria.)

    Quella strana situazione era molto diversa dalle circostanze odierne: oggi sono favorevole a una fase temporanea di spesa in disavanzo per affrontare i problemi della nostra economia depressa. All’epoca ero convinto, erroneamente, che i mercati l’avrebbero vista nello stesso modo in cui la vedevo io, e dunque che gli obbligazionisti avrebbero perso la fiducia nell’America, facendo salire i tassi di interesse sui nostri titoli di Stato.
    Invece il mercato obbligazionario non batté ciglio, perché gli investitori evidentemente erano convinti che l’America alla fine si sarebbe data una regolata e avrebbe cominciato a comportarsi in modo responsabile. Per certi versi potrei ancora avere ragione, ma è evidente che sul breve termine la mia previsione si è rivelata sbagliata.

    Ho imparato da entrambi questi errori. Dopo la cantonata degli anni 90 ho imparato a prendere molto sul serio le osservazioni di quelli che lavorano nel campo, anche quando non argomentano bene le loro tesi. E ho imparato anche che i mercati a certi Paesi danno tutta la libertà di manovra che vogliono.

    Dunque sì, mi sono sbagliato. Chi è senza peccato scagli la prima pietra.

    © 2010 NYT – DISTRIBUITO DA NYT SYNDICATE

    (Traduzione di Fabio Galimberti)   sole24ore            miki de lucia

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