Clemente Russo conquista il pass per i Giochi di Rio, sarà il primo pugile italiano a partecipare a quattro Olimpiadi

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Nella rassegnata e inevitabile confusione della boxe contemporanea, l’Italia può vantare una certezza: Clemente Russo, che se ne va alla sua quarta olimpiade consecutiva. Nato a Marcianise – la nostra fabbrica di pugili – figlio del maestro Domenico Brillantino e della sua educazione spartana, peso massimo, dopo Atene 2004 (nono posto), Pechino 2008 (argento) e Londra 2012 (ancora argento), adesso andrà a Rio de Janeiro 2016, avendo battuto il kazako Anton Pinchuk. Russo afferma: «Ho vinto di esperienza». Nonostante un infortunio: «Ho combattuto con uno stiramento all'obliquo». Passionale, autentico: Clemente Russo va oltre tutto, spesso anche oltre il ring. Guascone al limite della superficialità ma con una perfetta base di valori a reggere i colpi che assesta. Ammira Joe Frazier, ama il cinema come Tiberio Mitri – ha recitato in Tatanka – pur venendo da Marcianise terra di Gomorra ha scavalcato il Bronx e i luoghi comuni, sarà perché alla rabbia preferisce la determinazione. Appartiene ai meridionali che vogliono continuamente migliorarsi, che non accettano la realtà: in questo è molto americano; salta dai reality ai set cinematografici senza mai perdere colpi, tutti si aspettavano che si smarrisse e invece ha sorpreso ogni previsione negativa. Adesso sogna l’oro olimpico che gli manca – anche se ha due mondiali in bacheca – e anche di essere il portabandiera della delegazione italiana in Brasile. Non ha mai singhiozzato né pensato di mollare quando ha perso, è un ragazzo determinato che si è concesso il lusso della tivù e lo sfoggio di ricchezza in un matrimonio barocco con la judoka Laura Maddaloni. È un esibizionista, narciso, proprio l’eccesso di sicurezza spesso lo porta a sottovalutare i suoi avversari, ma nel panorama della boxe di oggi si è ritagliato uno spazio, vincendo e tirando giù avversari. Una mano per il popolo – gli piace ripetere, soprattutto da quando ha aperto una palestra a Caserta – una speranza bianca per Don King col quale si è seduto già una volta a tavola. «Gli ho chiesto un ingaggio sulla base di quelli toccati ai miei avversari passati professionisti. Lui mi ha risposto che non poteva accontentarmi e non se ne è fatto più nulla». Si rivedranno dopo Rio de Janeiro, quando Russo (avrà 34 anni) potrebbe cercare altro unendo i due mondi che ora tiene separati: boxe e spettacolo, diventando professionista e provando i ring americani. E pensare che lui la boxe aveva preso a praticarla per dimagrire. Non appartiene ai pugili tristi, è un uomo tranquillo, posato, capace di essere molteplice, spigliato nel presentare programmi e giustamente allusivo e inquieto da dominare anche i reality. Appare come un ossimoro: ma la boxe lo ha reso un ragazzo contento, inzuppato o no di sudore, sanguinante o meno, Russo trova sempre l’attimo per sorridere e uscire dai cardini del ruolo. Aggiunge un tocco di fatuità a uno sport che è essenzialmente tragedia da consumare. Il rischio che corre è che questa sua carica estetizzante copra le sue conquiste che non sono per nulla piccole. È un pugile che crescendo ha perfezionato la sua tecnica, è passato da rude e immediato a raffinato e calcolatore, imparando a misurare la propria aggressività, forse in prospettiva del maggior numero di riprese da disputare quando sarà professionista. Il fatto che non voglia rimanere quello che era e che ci sia riuscito è il suo vero capolavoro. È un pugile irrazionale, un graffio, che però ha la forza per trasformarsi in marmo scolpito. (Marco Ciriello – Il Mattino)

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