San Giuseppe Moscati e la strenua difesa della natura e della bella Napoli, il 25 luglio ad Arola di Vico Equense

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L’Associazione culturale “Parola all’Eremo” propone per il giorno 25 luglio (giorno della nascita del Santo Giuseppe Moscati) un convegno ad Arola di Vico Equense sul tema “Giuseppe Moscati e l’amore che guarisce”. Interverrano i Prof. Raffaele Rossiello (Seconda università di Napoli) ed il Prof. Gennaro Rispoli (Ospedale Incurabili di Napoli; Museo Arti Sanitarie).
Oltre agli aspetti scientifici e professionali del medico e del docente Moscati, uno degli scritti del Santo in difesa della bella Napoli (che di seguito riportiamo integralmente) aprirà il “reading”; In riferimento ai fenomeni della congestione urbanistica e dell’ estraniazione ambientale (a noi così familiari in Penisola sorrentina!), già nel 1922 e a proposito della collina dei Camaldoli di Napoli, il grande e lungimirante Giuseppe Moscati scriveva al Consiglio Comunale che si apprestava a discutere il piano regolatore edilizio:

<Nei giorni dell’eruzione vesuviana e della catastrofe di Messina, intesi ripetere dai vecchi e dal popolo che su Napoli gravava una triste profezia: qui fu Napoli! Anche oggi di tratto in tratto delle sgomente cassandre sussurrano un simile infausto presagio. Ho sorriso sempre incredulo. Dunque della dolce Partenope non dovrebbero rimanere che i bagliori di fuoco, intravisti da Ulisse, navigando a largo del golfo delle sirene?
Ma ora ho mutato opinione. Non il terremoto, non il Vesuvio, né il cataclisma, distruggeranno mai Napoli… ma i napoletani. Quel poco, residuato intatto delle incantevoli pendici e dei colli, alla fobia costruttrice dei mercanti, scomparirà tra breve. E quel tanto di storico, e le più belle ville e palazzi sono minacciati dal piccone dei piani regolatori; gli edili, chiamiamoli così, destinati a proteggere l’estetica delle città e il paesaggio, somigliano a cani addormentati che lasciano rubare.
Il momento è propizio: difettano le abitazioni, bisogna edificare. Tutto è giustificato: sopraelevare grattacieli, innalzare sui culmini delle colline; demolire i parchi annosi per annidarvi caserme… E Napoli bella muore, soffocata da macerie di case. Il dittatore Garibaldi decretò che le delizie di Napoli appartenessero a tutti, e non ad una piccola minoranza di arricchiti, autorizzati dal loro danaro a occultare con tanti sipari i più luminosi panorami.
Roma trattenne, forse un po’ tardi, il braccio dei demolitori delle sue ville, e strenuamente protegge ancora il verde di Monte Mario. A Napoli, odorante dei suoi aranceti d’aprile, e canora di uccelli, non ci sarà più posto per l’erba.
Dove più le infinite tinte delle colline del Vomero e di Posillipo, mutevoli col sole, nel primo alito di primavera, ammantate di mandorli fioriti?
Lunghe pennellate verdi dei declivi, sospesi fra il celeste del mare e il celeste del cielo, formeranno il sostrato di un mosaico di pietre. La sommità del Vomero, sopraffatta da casoni geometrici, ha un profilo ormai cubistico, simile alla greca di un berretto di maggior generale. I pini e i cipressi di Villa Patrizi, ombreggianti il classico panorama di Napoli col Vesuvio, di tutte le fotografie e delle cartoline illustrate, forse aspettano tremebondi la loro fine.
Le oscure conifere di Villa Salve, prima libere al vento, si ergono a sporgersi sulle casermacce, allampanate, coronanti il culmine di via Tasso. E Villa Clorinda , sul promontorio di S. Antonio, cincischiano di fogliame cupo con mille spiragli aperti al cielo, come dischi azzurri, e poi infocati al tramonto, sembra precipitare, sottominata da sterri per nuove costruzioni. E sul giardino di piazza Amedeo quanti occhi grifagni: è un condannato a morte, a cui fanno la guardia gli edifici intorno!
E scorrendo la collezione dei piani regolatori, si scovre che uno prevede un pervertimento della Riviera di Chiaia, di via Caracciolo, già oltraggiata da scogliere non troppo rasente il suo margine marino, né troppo a largo, e foriere di arenamenti; un altro piano scava trincee, demolisce il parco e il palazzo di Cellamare, una piccola Versaglia nel centro di Napoli, e le pendici di Mondragone; altri artefici pretendono cambiare la fisionomia della città … Nessun dubbio sulla valentia degli ideatori di questi piani, che pure hanno dei lati buoni, ma hanno il torto di ispirarsi solo a criteri pratici, utilitaristici, e trascurano tutte le tradizioni artistiche e sentimentali del nostro popolo. Più fortuna ebbero i piani, purtroppo stranieri, che non si proposero altro scopo, che di valorizzare le meraviglie di Napoli. E le opere di via Posillipo, di via Capodimonte, e di via Caracciolo furono degne della città sublime e furono larghe di risultati pratici. Preoccuparsi prima della bellezza del paese e della tutela del patrimonio civico artistico, e poi del bisogno di abitazioni: ecco il principio informatore d’un piano edilizio, degno di un architetto di genio. Oggi non si infrena il privilegio dei ricchi di situarsi una casa e un belvedere in un punto ameno, deturpandolo. Pure nel bosco di Capodimonte andrebbero a costruire, l’uno dopo l’altro i pescicani, protetti dagli edili curuli!
Il delirio collettivo della necessità di case fa rassegnare la cittadinanza a tutti gli sconci. E tra breve anche la solitudine beata dei Camaldoli sarà violata, e fin sotto il cenobio lo stormire placido dei cerri e dei castagni sarà sostituito dal rumore dell’ascensore e della orchestrina di caffè e cinematografi. Addio la poesia della solitaria!
Non più i pergolati delle osterie di campagna, con i cespugli di tecoma, schizzati dal rosso dei fiori sanguigni, e con i grappoli d’uva con un ronzio di api intorno, come un sommesso canto alla natura provvida di frutta. Li sostituiranno le pensiline con i vetri arte nuova!
Più arguti, i nostri padri circondarono di implacabile sarcasmo le prime costruzioni sulla purezza delle colline, perché sospettarono all’avanguardia di innumerevoli altre; la la definirono un comò con i piedi all’aria; e un villino prossimo cubico, con una torretta quadrata centrale, la boccetta del profumo ecc. Poveri architetti di simili mostriciattoli, come siete stati vendicati! Nei villini moderni è lecita tutta una psicosi architettonica. Qui sguaiate case panciute, obese; là funerei mausolei; e poi tetre bastiglie chiuse al sole, provviste di saettiere al posto di finestre, come se fosse prossimo uno sbarco di saraceni, o a Napoli mancasse la luce.
Sono necessarie sì, le abitazioni, ed è perfino preferibile che Napoli nei punti incantevoli si arricchisca di ville, purchè deliziose, invece di caseggiati, per quanto queste ville serviranno esclusivamente a far godere il panorama a quegli stessi arricchiti, che trascorrono l’inverno in città. Ma è necessario un senso di misura, e soprattutto un senso estetico. Spalanchiamo al sole porte e balconi e all’afflato del mare; costruiamo verande, perché spezzino, con le loro glicine e i drappi damascai di Bougainville e di ampelopi rosseggianti d’autunno, la triste uniforme monotona linea di finestre simmetriche, come occhi sbarrati. Il problema edilizio è connesso con quello dei trasporti. Urgono rapidissime comunicazioni con i villaggi, perché Napoli ha qualcosa di Londra, e deve custodire il suo cuore, il suo centro – quanto più interessante della vecchia City e di Piccadilly – e rendere facilissimo agli abitanti di tornare la sera, a casa lontano, lontano. Una serie di tunnels può far raggiungere aree vaste di costruzioni, oltre Fuorigrotta, al di là dei Ponti Rossi, del poggio di Miradois!
Basterebbe cominciare a migliorare le comunicazioni con i paesi vicini e creare le vie alle nuove aree, rispettando la vecchia Napoli. Più che innalzare monumenti a uomini illustri, devolverne le spese a queste nuove vie, intitolabili con il loro nome; e le abitazioni sorgeranno in quei posti con opportuni incoraggiamenti ed esenzioni di balzelli municipali. Ma se si continuano ad addensare nella già densa Napoli le costruzioni, addio bellezza del panorama.
E l’emigrato che farà ritorno a Napoli di qui a trenta anni, non colpito più dal divino spettacolo d Partenope verde e fiorita, assisa sul mare, non distinguendo più colline ma solo casermoni in anfiteatro con mille finestre, esterrefatto ripeterà le parole della profezia: .>

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