Strage di Secondigliano. Medici e specialisti in carcere su richiesta della difesa per perizia psichiatrica sul killer

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Un’equipe di medici e specialisti in psichiatria potrà visitare Giulio Murolo, l’uomo responsabile di quattro omicidi a Secondigliano. Una mossa da parte del suo difensore, il penalista Carlo Bianco, calata nel corso delle indagini che vedono l’infermiere napoletano indagato di strage. Tecnicamente si tratta di una richiesta di visita medica, giustificata di fronte a condizioni di salute precarie, che dovrebbe preludere anche a un abbozzo di perizia sulle sue capacità di intendere e volere, sia allo stato attuale, sia al momento della strage. Una mossa in parte annunciata, con cui la difesa punta ad accertare lo stato di salute, ma anche e soprattutto le sue condizioni di lucidità mentale in vista di un processo. In campo una vera e propria equipe medica, capitanata dal professore Francesco Bruno (conosciuto per la sua esperienza da criminologo), la sua collega storica Chiara Biagini e Tiziana Salvati, quest’ultima dirigente dell’opg di Napoli ed esperta in psicodiagnostica. Inchiesta che attende gli esiti delle indagini di balistica, che ora fa i conti con gli accertamenti di natura psichiatrica chiesti e ottenuti dalla difesa di Murolo. Strage è l’accusa ipotizzata dal procuratore aggiunto Fausto Zuccarelli e dal pm Roberta Simeone, che punta a chiarire l’esatta dinamica degli spari esplosi in un pomeriggio drammatico. Uccise quattro persone, colpendo a morte il fratello Luigi, sua cognata Concetta Uliano, che si trovavano sul ballatoio della sua abitazione; ma anche il capitano della polizia municipale Francesco Bruner e Luigi Cantone; oltre a provocare il ferimento di Cristoforo Cozzolino, di Umberto De Falco, di Luigi Cristian Infante, di Vincenzo Cinque, di Michele Salvatore Varriale, di Luigi Capasso. Una strage, una drammatica sequenza di morte scatenata apparentemente per motivi banali. È accaduto quindici giorni fa, in un afoso venerdì pomeriggio, quando Murolo dà sfogo alla sua furia omicida. Tutto per alcuni fili dello stenditoio sul balcone che Giulio condivideva con il fratello Luigi e la cognata. Lite domestica, che si trasforma in un episodio destinato a rimanere impresso nella memoria collettiva. Decisivo l’intervento della polizia, che riesce ad evitare il coinvolgimento di altre persone e a immobilizzare il cecchino. Che decide di arrendersi anche grazie alla conversazione – in almeno tre momenti – con un agente del centro operativo, che lo convince ad alzare le braccia, a tenere alta la maglietta (anche per dimostrare di non essere armato) e a consegnarsi alle forze dell’ordine. Da giorni si attendono gli esiti degli accertamenti balistici, per verificare la sequenza dei colpi esplosi, ma anche per appurare quante armi siano state usate dal 48enne e dagli agenti. Non ha trovato al momento alcuna conferma l’ipotesi secondo la quale, l’uomo avrebbe reagito dopo minacce di morte; né è confermato – su un altro versante – che a sparare siano state alcune persone del posto per colpire il cecchino prima dell’arrivo di polizia e carabinieri. Vanno avanti le indagini anche sul piccolo arsenale posseduto da Giulio Murolo: seimila proiettili fabbricati in casa, ma anche, pistole e quattro fucili (due a pompa e due carabine), oltre a un micidiale kalasnhikov di provenienza clandestina. Vano fino a questo momento ogni tentativo da parte di pm e giudice di ottenere risposte da Murolo, che si è sempre trincerato dietro la facoltà di non rispondere. Inchiesta in corso, che ora fa i conti con gli esiti di una perizia psichiatrica di parte. (Leandro Del Gaudio – Il Mattino) 

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