Castellammare di Stabia lettera di Filomena Baratto in ricordo della maestra Enza Persia

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Castellammare di Stabia lettera di Filomena Baratto in ricordo della maestra Enza Persia , maestra nell’epoca della Buona Scuola

Ho appreso ieri la notizia della perdita della mia cara insegnante di scuola elementare: Enza Persia e sono molto dispiaciuta. Siamo state insieme un solo anno scolastico, eppure è bastato a lasciarmi di lei un ricordo indelebile.

Occupa un posto importante in me per quello che ha fatto nei miei confronti : di aver capito la mia natura di artista, per essere stata la mia Pigmalione quando ero appena una bambina.

Ricordo il giorno che ci siamo rincontrate, questa volta da colleghe, nella scuola in cui insegno oggi e dove ero arrivata da poco, mentre lei era già avanti con l’età e nota a tutti. i suoi occhi brillavano solo al pensiero di aver ritrovato una sua alunna che si ricordasse di lei. Mi accorsi che non si ricordava in modo preciso chi fossi,  per cui il giorno dopo le portai una foto di quell’anno scolastico. Quando mise a fuoco la bambina col caschetto scuro dietro di lei nella foto, mi abbracciò emozionata e in un attimo ricordò tutto.

Mi prese sottobraccio e mi portò in giro per la scuola presentandomi alle colleghe dicendo di essere stata una sua cara alunna. Non ero abituata a ricevere tanti elogi ma la sua festa, nel riconoscermi, mi rese felice. Fu emozionante apprendere dalla mia insegnante , dopo quarant’anni, che cosa pensasse di me. Lei non mi adulava come spesso fanno le persone, lei mi conosceva profondamente  e quello che diceva aveva  valore  per entrambe.

Fu proprio lei, in questa occasione, a farmi tornare in mente tutto quello che fece per me, in modo disinteressato e  di cui le sarò sempre riconoscente. A cominciare  dal portarmi a casa sua per presentarmi a una pittrice, sua amica, che curasse il mio talento di bambina prodigio con la pittura. Di mattina ero dalla pittrice e di pomeriggio a lezione come se avessi avuto un precettore, fortunata io  nel ricevere lezioni ad personam .

Ricordo la sua generosità, il coccolarmi a cominciare già a colazione, come si rivolgeva alla madre quando le raccomandava quello che doveva fare per me. E poi la premura nel prepararmi il lettino, di sera, preoccupandosi che potessi cadere. Avevo solo sette anni.

 Al nostro incontro, a scuola, voleva che ci dessimo del tu come tutte le colleghe. Ma non ce l’ho fatta, ho continuato a vederla come la mia insegnante di una volta e basta, avendo ancora di lei quel timore di allora. Un timore di quando le persone che incontriamo toccano le corde del nostro cuore, sanno farle suonare d’incanto e noi, rapiti dall’armonia raggiunta, siamo eternamente grati. Una sola ammonizione mi fece, quella di non essere mai andata a trovarla e di questo ne ho un grande rimpianto. Non che fossi  ingrata, ma le situazioni me lo impedivano sempre. Poi, in seguito, anche quando avrei potuto, non l’ho fatto e maturava in me questa ingratitudine, facendomi sentire colpevole. Essere grati è sempre così difficile: quando vorresti farlo, ne sei impedita e quando potresti farlo, comincia la nostra vocina interiore a venirci contro e a far sfumare quello che proviamo definendo il tutto come un fatto transitorio e basta. Sì, ho cominciato a pensare che forse ricordavo male, che forse mi avrebbe riso in faccia, che lo facevo per presentarle il mio ultimo libro. Fu per questo che evitai.

Alla luce di quello che è accaduto dico che dobbiamo sempre dare voce a un sentimento buono anche quando ci sembra di stare a fare uno sproposito. Il primo pensiero è quello che conta e se si perde l’attimo, si perderà per sempre il motivo per farlo. La distrazione e l’oblio nascondono le cose più genuine di noi.

E poi giunge la notizia come un monito che non c’è più, ci ha lasciati. Sembra che sia andata via delusa dalla vita, dalle amarezze, dai dispiaceri e da quella signora di cui è piena la società anche in questo assordante frastuono: la solitudine. Il dispiacere maggiore nel saperla via da questo mondo è per il fatto di essere stata abbandonata completamente da tutti, compresa da me, a questo punto.

Spesso ci siamo incontrate in chiesa  ed io, dopo le prime volte che mi avvicinavo, che la salutavo calorosamente, evitai per non riuscire a mantenere la mia promessa di farle visita e chissà…

Ora non ha più senso, tutto è finito, il tempo necessario per riparare è scaduto, e resta il pensiero fisso di non aver fatto quello che desiderava. Lei invece, aveva sempre tante cose da darmi, come le fiabe che mi lasciava leggere, mentre gli altri compagni ultimavano il lavoro. Mi faceva sedere in cattedra a leggere e a disegnare mentre lei girava per i banchi a sorvegliare i compagni.

Nell’epoca della “Buona scuola” credo si debba ritornare a buoni insegnanti , buoni per dire efficaci, attenti e preparati e non solo per far raggiungere alla scolaresca obiettivi, ma per saper “portare fuori” ( come vuole l’origine latina della parola educare, da e-ducere, quindi condurre fuori, portare alla luce)da ciascun alunno, il suo mondo interiore, essere la sua colonna portante o semplicemente, e mi piace di più il riferimento, la vite attorno alla quale si intrecciano i tralci.

Se lei non avesse avuto la rapida intuizione di portarmi a casa e farmi operare in situazione, più che dirlo alla famiglia, nulla se ne sarebbe fatto della mia pittura, del disegno e scoprire di avere un talento. L a mia non è riconoscenza astratta, ma idee che si sono rafforzate in me. La sua lezione più importante  è stata quella  che i fatti contano più delle parole, e ora non mi resta che andare a trovarla nella sua casa di oggi portandole un fiore. Glielo devo.

 

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