Ex Indesit, la rabbia del cardinale Crescenzio Sepe tra gli operai nella sua Carinaro: mi ribolle il sangue

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Carinaro. Una scrivania di fortuna diventa altare e la messa domenicale entra in fabbrica. Ecco l’Agnello di Dio, sistemato nel piazzale dell’ex Indesit a Carinaro, sotto il capannone d’ingresso, di fronte a 400 lavoratori con le loro famiglie. È la giornata della sferzata della Chiesa nella vertenza esplosa giovedì scorso, dopo l’annuncio di «Whirpool-Indesit» di voler chiudere lo stabilimento casertano. La prima stazione della «via crucis del lavoro negato» vede protagonista poco dopo mezzogiorno il cardinale di Napoli, Crescenzio Sepe, nato e cresciuto in questi campi che hanno progressivamente lasciato spazio a capannoni industriali ormai vuoti. Nel pomeriggio invece la seconda stazione è il vescovo di Aversa, Angelo Spinillo, che celebra l’eucaristia della solidarietà all’aperto con i lavoratori e i sindaci della zona. «Quando si toccano i carinaresi, si tocca pure il cardinale – esordisce Sepe – Quando si toccano i diritti delle persone la Chiesa deve far sentire la propria voce, perché chi tocca l’uomo tocca Dio. E allora non potevo non venire. Quando ho letto della vicenda mi ribolliva il sangue. Sono qui prima come cittadino di questa terra e poi come vescovo di Napoli e presidente campano della Conferenza episcopale». Il cardinale si ferma un attimo prima di pronunciare parole di fuoco: «Chi prende la decisione di chiudere dall’oggi al domani – avverte – deve rispondere a Dio prima che alla società. Chi ha la responsabilità di scegliere metta la sua coscienza davanti al Signore». E ancora, in un crescendo di fervore: «Devono sapere che la Chiesa li condanna se non ce la mettono tutta per risolvere i problemi». I dipendenti applaudono e intonano «Carinaro non si tocca, Carinaro non si tocca». Lui accarezza la piccola Maria Rita che legge la lettera-appello per far tornare il sorriso al papà e fa commuovere tutti. Ma poi riprende: «Ancora dobbiamo impegnarci per far valere i nostri diritti? Qui una persona che perde il lavoro genera sangue e lacrime. Dicono che il Sud è una palla al piede? Ma se i piedi ce li calpestano, come possiamo esserlo? Noi chiediamo solo il diritto di vivere dignitosamente la nostra vita». Già, ma cosa si può fare in concreto per questi operai? «Non sono un tecnico – replica Sepe – e non ho questa pretesa, ma sono qui per esprimere solidarietà e soprattutto fiducia nel fatto che coloro ai quali compete risolvere questi problemi li affrontino con grande serietà». Il cardinale rivela anche di aver già avuto un ruolo nella precedente vertenza del 2013, che portò l’Indesit a chiudere il confinante stabilimento di Teverola: «Incontrai i dirigenti più volte – fa sapere – e comunque trovammo una soluzione. Sono convinto che se c’è buona volontà e responsabilità alla fine riusciremo ad ottenere risultati positivi anche stavolta». E va via, raccogliendo la richiesta di interessare il Papa della vicenda e benedicendo tutti con il suo: «A Maronna v’accumpagn’». Nel pomeriggio alle 16 il vescovo della diocesi di Aversa Spinillo rafforza il messaggio di Sepe nella sua omelia ai dipendenti raccolti in preghiera. «La dignità della persona e del lavoro ha un valore grandissimo, perché consente di trovare un posto nella vita del mondo», ricorda e aggiunge: «La solidarietà deve coinvolgere l’intero territorio, non è solo attenzione a chi è in difficoltà ma significa impegnarsi insieme nel progettare qualcosa di nuovo per la nostra terra. Non calcoliamo solo il profitto, dobbiamo vivere la consapevolezza che un essere umano non può essere ridotto a un numero». (Lorenzo Iuliano – Il Mattino)

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