SAN GIOVANNI A PIRO: IL SANTUARIO DI PIETRASANTA, FINESTRA DI LUCE E FEDE SUL GOLFO DI POLICASTRO

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    Lunedì 26 maggio, come da tradizione, si svolgerà il pellegrinaggio con messa solenne al Santuario di Pietrasanta che luce di sole  su di uno sperone di montagna in volo sul mare del Golfo di Policastro. E’ uno dei sette santuari mariani del Cilento, sui quale è da poco in libreria un mio saggio pubblicato dalla Casa Editrice  con il titolo “I SANTUARI DEL CILENTO” che ha vinto il primo premio nella sezione saggistica in un concorso  letterario indetto dalla stessa Casa Editrice. Penso di fare cosa gradita agli amici di San Giovanni a Piro e dell’intero Golfo di Policastro pubblicandone qui di seguito il testo estrapolato dal libro.

     

    A  San Giovanni a Piro il sacro si respira nell’aria e lo si tocca con mano nella concreta visibilità del Cenobio di  San Giovanni Battista e nel Santuario di Pietrasanta.

    Il primo, su di un breve pianoro tra gli ulivi, è testimonianza di un lungo periodo di splendore e di potenza con quella massiccia torre merlata di difesa e di avvistamento, ancora oggi in buono stato di conservazione. Il libro d’oro dell’Abbazia annovera cardinali influenti, umanisti colti, igumeni-baroni equilibrati nella gestione del potere, frati agrimensori che sulle colline sperimentarono nuove colture, monaci speziali alle prese con  le erbe officinali, anacoreti votati al sacrificio, re e principi che qui vennero in pellegrinaggio ed abbondarono in donazioni a riconoscenza di ospitalità premurosa, generosa e serena. Ed il cenobio crebbe in potenza ed influenza fino a diventare punto di riferimento per tutta l’organizzazione monastica meridionale. E’ ancora tutta da scrivere la storia del monachesimo basiliano nel Cilento. E chi volesse addentarsi in questa ricerca, che di sicuro riserverebbe sorprese impensabili, non può che iniziare da qui il suo percorso culturale.

    Il secondo, il Santuario di Pietrasanta, si erge maestoso su di uno spalto panoramico a pochi chilometri dal centro abitato. E’ stato ed è luogo di pellegrinaggi e di preghiera ed ha scandito speranze, attese, desideri delle popolazioni del Golfo di Policastro nella lunga catena di leggende e di miracoli che hanno popolato e popolano l’immaginario collettivo.

    I pellegrinaggi più frequentati sono quelli del martedì di Pasqua, dell’ultimo lunedì di maggio, del 3 gennaio anniversario del miracolo che salvò la chiesa dall’incendio appiccato dalle truppe francesi nel 1806 e del 15 agosto quando  vi si celebra la giornata degli emigranti. Resta aperto nei mesi di luglio e agosto e tutti i martedì da Pasqua ad ottobre per la recita vespertina della Messa.

    Incerte le origini avvolte nella leggenda: due pastorelli, alla ricerca di un agnello smarrito, ebbero la visione della Madonna nei pressi di una sorgente. Si gridò al miracolo e lì fu edificata una chiesa. Quella attuale risale al XVII secolo anche se ha subito rifacimenti posteriori.

    L’interno, ad una sola navata, con volta a botte è in stile barocco. Sul piccolo presbiterio la bella statua della Madonna scolpita sul posto sul cuspide di una pietra dà il nome al santuario.E ritorna il culto primitivo della pietra e dell’acqua, che zampilla fresca e cristallina dal cuore della roccia ed oggi, come ieri, è somministrata agli infermi per i suoi effetti ritenuti miracolosi. Ed il culto della Vergine cristiana sostituisce quelli primigeni delle forze della natura: pietra ed acqua, appunto.

    Il pellegrinaggio più imponente è quello dell’ultimo lunedì di maggio, facilitato, tra l’altro dalla bella stagione. Parte dalla  Chiesa Madre in mattinata nella gloria delle campane a  distesa. La sequela delle “cente”  multicolori si snoda tra la strada di campagna  con il coro litaniante dei pellegrini a rimbombo d’eco tra gli ulivi.

    Le “cente”, ex-voto di candele intrecciate da ghirigori di carta multicolori, che  solitamente hanno forma di barca, qui simboleggiano una casa e la nicchia ricavata tra le candele espone un bambino  su cui sono appuntati piccoli oggetti votivi. Quello della processione con appendice di Messa solenne è uno scenario da non perdersi anche per la cornice di campagna luminosa sospesa tra cielo e mare nel fasto della primavera.

    Dallo spalto del Santuario è tutto da ammirare il panorama di San Giovanni a Piro con il suo carico di storia da leggere nei resti di mura e porte a difesa del centro storico compatto nell’impianto urbanistico che ostenta palazzi gentilizi di casati che hanno fatto la storia del territorio.Qui si stanziarono i Bulgari con il consenso del duca longobardo Romualdo e fondarono comunità laboriose alle falde del massiccio montuoso, minaccioso e protettivo insieme, che da loro prese il nome. Il Bugheria è l’avamposto verde del Parco Nazionale del Cilento e Vallo di Diano nel Golfo di Policastro, che nel suo arco lunato inanella gioielli di paesi sui crinali delle colline a corona di mare, che narra di Itali ed Enotri. Laggiù si acquieta pigramente alla foce il Bussento, che, a monte, si inabissa nelle grotte-inghiottitoi e riecheggia, gorgogliando, la storia del potente Alarico, che, secondo qualche storico, vi trovò volontaria sepoltura con cavallo e tesoro.

    A  qualche centinaio di metri dal Santuario, sul pianoro, nei giorni di scirocco l’acre della salsedine si posa sulle bacche di ginepri, lentischi e mirti, che arabescano di verde il bianco lunare delle pietre, anatre in cova ossificate dal tempo. Giù in tutta la sua struggente bellezza la collina della Masseta rovescia colate di verde intenso di macchia mediterranea nel cobalto del mare degli Infreschi. Sulla lingua di spiaggia della Sciabica la risacca canta nenie al riparo delle falesie delle rocce a strapiombo. Nella rada sonnacchiosa si stende Scario, le cui case, dai colori teneri, fuoriescono quasi per miracolo dal mare e si inerpicano a grappolo su per la collina quasi a lambire il cielo. Qui, in collina appunto, è il regno dell’ulivo e tra l’argento del fogliame trascorre lieve al vento della sera l’eco di antiche storie:monaci salmodianti, con il pietoso carico di icone e libri di preghiera, s’inerpicano su per i tornanti profumati di mortella e rosmarino fino al Cenobio.

    In distanza sulle alture di Maratea un Cristo gigantesco, spalanca, nel fuoco del tramonto, le braccia all’infinito di cielo e mare tersi.

    Giuseppe Liuccio

    g.liuccio@alice.it

     

     

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