MusicaNova nel segno degli strumentini dell’ Amalfi Wind Coast

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Questa sera, alle ore 18,30 il quintetto di fiati sarà ospite del Teatro Nuovo di Salerno per un lungo viaggio musicale da Farkas a Verdi

 

Di OLGA CHIEFFI

 

La prima rassegna musicale MusicaNova, diretta da Amleto Soldani, propone questa sera, alle ore 18,30, ospite del palcoscenico del Teatro Nuovo di Salerno, l’ensemble di fiati  Amalfi Coast, composto da Vincenzo Scannapieco al flauto e ottavino, Giovanni Borriello all’oboe, Sabato Morretta al clarinetto, Marco Alfano al fagotto e Christian Di Crescenzo al corno. Variegato il programma che verrà inaugurato da un occhio sul novecento di Ferenc Farkas, del quale ascolteremo una trascrizione delle quattro Danze ungheresi, composte in origine per quartetto di clarinetti. Intrada, Lassù, Lapockàs tànc, Chorea e Ugros e la sua Serenada testimonieranno quell’impostazione formale di chiara e solida fattura, senz’altro di “gusto latino” legato a doppio filo con l’atmosfera del suo natio paesaggio ungherese. A seguire la celeberrima sinfonia del Barbiere di Siviglia di Gioacchino Rossini, con il suo Andante sostenuto d’apertura alternante accordi poderosi a brevi scalette e a note ribattute, misteriose e incerte, prima di cedere il passo all’Allegro con il primo tema, celeberrimo, giocato sulla lamentosa ripetizione del semitono discendente Do-Si, che pare mostrare ironicamente le tristezze della vita, e concludere in tonalità maggiore, con il famoso tema gaio e giocoso. E’ questo l’aspetto piu? rivoluzionario del ludus rossiniano: la sospensione del “tempo”, o meglio il suo smisurato allargamento in seno ad episodi dove e? la musica sola ad imporre la propria forma ed il proprio ritmo interiore. Personaggi veri e propri saranno gli “strumentini”, di questo quintetto i quali dialogheranno, si pavoneggeranno, si pizzicheranno, si inseguiranno e si lasceranno, aumentando via via la loro effervescenza sentimentale e libertina, coinvolgendo l’uditorio. La prima parte della serata si concluderà con lo spettacolare finale del Falstaff, la sua morale: “Tutto nel mondo è burla” “Tutti gabbati”. E’ questo l'insegnamento che l'anziano protagonista, come l'anziano Giuseppe Verdi, trae da una vita intera, ma non si tratta di una constatazione amara: al contrario viene esaltata l'autoironia come unica via di salvezza, consapevoli del fatto che, nel momento in cui crediamo di gabbare il prossimo, qualcun altro, persino la stessa morte, sta gabbando noi. "Tutti gabbati" appunto, e perciò tutti di buon animo di fronte all'immutabilità dell'umano destino. A causa di un perfetto congegno teatrale, il "Falstaff" verdiano si inserisce a pieno titolo tra le somme commedie della storia della musica, insieme con "Le nozze di Figaro" di Mozart e il "Rosenkavalier" di Richard Strauss. Di quest'ultima anticipa lo stile, quella colloquialità che, aboliti definitivamente i pezzi chiusi, si piega alle ragioni della drammaturgia, un "recitar cantando" talora interrotto da oasi liriche di rara bellezza, ma mai concluse in se stesse (come del resto sarebbe accaduto nel tardo Puccini e nella Giovane Scuola) per giungere alla formidabile fuga finale in perfetto stile contrappuntistico, che ascolteremo questa sera. Ancora secolo breve con la suite «Five easy dances» dello straordinario musicista americano, di origine ungherese, Denes Agay in una fulminante sequenza di polka, tango, bolero, valzer e rumba, prima di chiudere con la sinfonia dal Nabucco di Giuseppe Verdi, una pagina alla tedesca, che enuclea, cioè, i temi dell’opera che il compositore ha ritenuto più efficaci nel tessuto del racconto: la maledizione a Ismaele, la melodia del “Va’ pensiero”, il finale del primo atto e una citazione scopertamente donizettiana.

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