Additivi alimentari: i bambini a rischio.

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    Wikipedia, definisce genericamente gli additivi alimentari quali “sostanze impiegate nell’industria alimentare durante la preparazione, lo stoccaggio e la commercializzazione di prodotti destinati all’alimentazione”, mentre la Direttiva del Consiglio 89/107/CEE ne ha dato una definizione ex lege come “qualsiasi sostanza normalmente non consumata come alimento in quanto tale e non utilizzata come ingrediente tipico degli alimenti, indipendentemente dal fatto di avere un valore nutritivo, che aggiunta intenzionalmente ai prodotti alimentari per un fine tecnologico nelle fasi di produzione, trasformazione, preparazione, trattamento, imballaggio, trasporto o immagazzinamento degli alimenti, si possa ragionevolmente presumere che diventi, essa stessa o i suoi derivati, un componente di tali alimenti, direttamente o indirettamente“.

    Poiché sono considerate sostanze aggiuntive ai prodotti alimentari ed in quanto tali anche indirettamente vengono a contatto con gli stessi e quindi con le persone, gli additivi sono soggetti sia a livello europeo che internazionale ad un processo di valutazione della sicurezza prima di essere autorizzati per l’uso alimentare. In Europa la valutazione viene effettuata dall’Agenzia per la Sicurezza Alimentare (EFSA), e a livello internazionale dal Comitato congiunto di esperti sugli additivi alimentari (JECFA – Joint Expert Committee on Food Additives) dell’Organizzazione per l’Alimentazione e l’Agricoltura (FAO) e dell’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS).

    La questione di cui ci occupiamo, però, non riguarda gli effetti dei singoli additivi sulla salute umana ma l’interazione fra gli stessi ed alcune categorie di soggetti più deboli, in particolare i bambini, anche perché nella genericità dei casi il loro utilizzo viene giustificato da finalità tecniche o strettamente commerciali.

    Infatti, secondo alcuni recenti studi, taluni additivi incrementerebbero i disturbi dell’attenzione e dell’iperattività in bambini già affetti da ADHD e in generale a tutti quelli nella fascia d’età studiata (metà infanzia).

    Una ricerca in particolare, si è concentrata, sull’associazione tra tartrazina (colorante giallo, E102, aggiunta nelle bevande gassate, nelle caramelle alla frutta, nei budini, nelle minestre confezionate, nel gelati, nei chewing gum, nel marzapane, nelle marmellate, nelle gelatine, nella mostarda, nello yogurt) e i coloranti blu ed ha puntato il dito sulla famosa sindrome ADHD che tanti bambini moderni sembra colpire: gli studiosi hanno messo in stretta relazione l’iperattività con il consumo contemporaneo di questi due coloranti.

    Secondo Giovanni D’AGATA, componente del Dipartimento Tematico Nazionale “Tutela del Consumatore” di Italia dei Valori poiché è utopistico pensare ad un generalizzato cambiamento dello stile di vita alimentare improntato ad un consumismo esasperato che più che ai valori nutrizionali, al recupero dei tradizionali standard di vita, guarda con attenzione spasmodica ai colori, alle mode ed ai gusti dei prodotti alimentari, si rende necessario un maggiore controllo della filiera alimentare attraverso l’utilizzo anche di strumenti pubblicistici (quali la proibizione di alcuni prodotti che contengono additivi a determinate categorie, come i bambini, la dose massima edibile consigliata per prodotto ingerito, ecc.), che serva a ridurre i rischi per la salute, specie nelle categorie più deboli della popolazione, quali i bambini.

     

     

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