Abbasso la normalità dopo i funerali di stato.

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    In seguito alla tragedia che ha colpito la città di Messina tutti ci siamo commossi alla vista di tale disastro, più o meno annunciato. Tra gli addetti ai lavori è in corso una animata discussione sull’uso che in questi anni, dal dopoguerra ad oggi, si è fatto del territorio. Senza addentrarsi troppo nella materia, in sintesi breve e con una metafora, si può dire che l’uomo ha usato il territorio come fa uno squalo affamato quando trova e addenta la sua  preda. Senza un briciolo di razionalità e/o lungimiranza ha consumato il territorio e lo ha usato per i suoi bisogni primari immediati, pensando di poterne disporre illimitatamente  o anche senza proprio porsi nessun problema. Ovviamente alludo all’incendio periodico dei boschi, alle discariche, agli impianti di depurazione (che dove ci sono spesso funzionano male) e all’abusivismo. Così facendo l’uomo ha perso il rapporto che aveva con la natura e senza voler rendersene conto, oggi vive e si commuove quando purtroppo succede una tragedia che produce vittime e distruzione. Se non ci sono vittime non ci si commuove e tutto tace. Quando ci sono vittime c’è lutto nazionale, i media si interessano per più giorni, dopo di che tutto torna alla normalità. E’ questa la  normalità che non ci piace ed è a questa normalità che abbiamo il dovere di ribellarci. La normalità che non ci fa più indignare su niente, come se niente potesse cambiare e migliorare. Mettere una popolazione al corrente dei rischi che corre è considerato come un turbare la quiete pubblica. Come dire, non diciamo niente se succede succede, e pensare che potrebbe anche non succedere, chi lo sa.

    Ma possibile che l’unica opera di prevenzione dei rischi praticata oggi in Italia è quella di fare  scongiuri e sfregamenti?

    Concetta Buonocore*

    Geologo originaria di Positano in costiera amalfitana

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