Milano. Galleria Artra. Alejandro Vidal. Hell is a place where memory is dead.

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    GALLERIA ARTRA

    PLAY_platform for film & video

     

    ALEJANDRO VIDAL

    Hell is a place where memory is dead

    a cura di Marco Scotini

     

    21 settembre – 24 ottobre 2009

     

    Lunedì 21 settembre la Galleria Artra e PLAY_platform for film &video ha inaugurato la mostra personale dell’artista spagnolo Alejandro Vidal. Con il progetto espositivo Hell is a place where memory is dead Vidal torna di nuovo presso gli spazi della galleria milanese dopo la mostra Un tiro a todos los diablos che, nel 2004, lo ha reso noto al pubblico italiano. Con questa mostra la galleria Artra inizia una collaborazione con PLAY che, dopo anni di attività a Berlino, ha ora sede a Lugano*.

     

    Segnalatosi per una estetica della violenza, oltraggiosa e stilizzata allo stesso tempo, Alejandro Vidal ha prodotto in questi anni serie fotografiche e video che ora figurano nelle più importanti rassegne internazionali. Scenari rave e techno, comunità emotive punk-rock, rituali di lotta e di autodifesa, tribù urbane con teste rasate e tatuaggi, costumi black metal e pose ambiguamente sessuali, sono il campionario visivo del suo lavoro. Una collezione di eroi alla deriva che sfidano in un faccia a faccia lo spettatore con bastoni da hockey in mano, guanti di cuoio, pistole in pugno, stiletti tra i denti.  

     

    Ma se uno credesse di cogliere in queste immagini frammenti di vita, realtà e documenti si sbaglierebbe. Ognuno non vi trova altro che segni. Stereotipi in luogo di personaggi concreti. Codici comportamentali piuttosto che azioni sovversive. Set artificiali al posto di inquadrature “vere”. Nient’altro che regole invece che la loro trasgressione. Tutto è attentamente studiato, ogni dettaglio è meticolosamente calcolato: pose, abbigliamento, accessori, ambienti, close-up e fuori-fuoco. Quello di Alejandro Vidal è una sorta di teatro nel teatro. Si manipola solo ciò che è già stato manipolato per svelare l’artificio e ricondurre l’immagine ai suoi limiti. Ma l’oggetto della sua ricerca non è il “simulacro” o, per dirlo con Paul  Virilio, la derealizzazione mediatica dell’esperienza come tale.    

     

    La critica della rappresentazione di Alejandro Vidal non è quella rivolta alla mercificazione dell’informazione, semplicemente. Il fatto nuovo è che negli ultimi anni il terrore è diventato una merce semiotica. La quantità di immagini del terrore e della paura da cui siamo investiti, così come la definizione di una nuova estetica della violenza, a partire dal 9/11, mettono in scena ripetutamente un discorso dominante che è funzionale all’apparato militare-visuale, allo sviluppo cioè di un capitalismo della società della sicurezza – come quello attuale – fondato sull’economia dell’informazione. Lontano da un discorso sulla innocenza o colpevolezza iconografica, il “teatro” di Vidal persegue una progressiva squalificazione dell’immagine come tale. 

     

    Più che in altri suoi lavori, nel progetto presentato da Artra, le opere mettono in scena dei segni che chiaramente rivelano la loro natura astratta e convenzionale. Direttamente connessa alla contemporanea decadenza della democrazia moderna, la mostra Hell is a place where memory is dead si focalizza sul rapporto tra il collasso del sentimento di appartenenza nazionale (così come dei suoi linguaggi) e la rivendicazione del diritto di sovranità dello Stato. Una enorme bandiera italiana che sta stingendo accoglie lo spettatore nella prima sala mentre una serie di immagini fotografiche rimettono in scena un recente rituale di protesta latinoamericano del lavaggio popolare della bandiera. A conclusione la proiezione di un grande spettacolo pirotecnico che si scopre essere un vero e proprio bombardamento.   

     

    *La galleria PLAY cessa la sua attività a Berlino nel 2008 con la mostra di Alejandro Vidal “Dance like a fool, walk like a king”. Ora come Play_platform for film & video è attiva a Lugano. La collaborazione in più occasioni con la Galleria Artra di Milano risale fin dai tempi di Berlino.

     

     

    Segnalazione di Maurizio Vitiello, critico d’arte.

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