Il saluto del direttore del MattinoI miei sette anni per Napoli e il Sud

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di MARIO ORFEO

Non è facile raccontare sette anni pieni di avvenimenti e di emozioni, tanto meno riassumerli nelle poche righe di un articolo di commiato. Ci provo con l’orgoglio del lavoro svolto per riportare il quotidiano simbolo del Mezzogiorno d’Italia ai livelli più alti della sua storia ultracentenaria e con le parole pronunciate nel salone della nostra tipografia da Giorgio Napolitano, in occasione della prima visita a un giornale da presidente della Repubblica: «Il Mattino resta la grande voce, la voce più ricca, del giornalismo napoletano». E poi, a proposito dell’intreccio nella realtà meridionale tra sforzi in atto da un lato e mali endemici dall’altro: «Penso che dobbiamo farcela, e penso che possiamo farcela ciascuno facendo la sua parte, anche il Mattino la sua, così importante e significativa».

La nostra parte l’abbiamo fatta con rigore, in stagioni complesse per il ciclo economico sfavorevole e la debole rappresentatività delle istituzioni locali. Indifferenti alle sirene della politica, abbiamo scoperto il velo delle ipocrisie e delle false promesse, rafforzando il nostro ruolo di giornale leader del Sud in copie e reputazione, instaurando con i nostri lettori un rapporto che è andato oltre le forme tradizionali: penso alle assise del «manifesto per salvare Napoli» (2005, per chi è di memoria corta) che coinvolse intellettuali, professionisti, studenti, gente comune contro il malgoverno della città; alle campagne per fermare quell’ambientalismo di tipo ideologico e fondamentalista che ha contribuito alla vergogna dell’emergenza rifiuti; o più recentemente alle prese di posizione per un federalismo responsabile che non penalizzasse le regioni del Mezzogiorno.

Potrei citare molti altri casi, perché in sette anni non abbiamo mai smesso di essere sentinella in un territorio eternamente di frontiera tra guerre di camorra e scandali di Palazzo, respingendo ogni tentativo di condizionamento al mestiere (sempre nel mirino) di giornalista. Con serietà e responsabilità, con l’aiuto dell’azienda e della redazione, credo di essere riuscito a mantenere l’impegno preso con i lettori al momento dell’insediamento: fare un’informazione non faziosa ma autonoma e critica a prescindere da chi detenesse il potere.

Con lo stesso spirito oggi il Mattino sta affrontando le trasformazioni che la crisi finanziaria mondiale ha imposto al settore dell’editoria e in particolare a quello della carta stampata. Non certo rinunciando al proprio Dna ma completando la sequenza genetica – l’esempio più importante: il sito web – con modi di comunicare più consoni a soddisfare le nuove richieste, nella consapevolezza dei progressi tecnologici e insieme delle esigenze economiche. Il crollo della pubblicità in un mercato già asfittico poteva davvero prefigurare anche in Italia scenari da «ultima copia» come mesi fa in America, se la indifferibile necessità di adeguare un modello di gestione e organizzazione non avesse camminato di pari passo con il mantenimento della credibilità e indipendenza del giornale.

Prima di affrontare la mia nuova sfida professionale in tv, devo sinceri ringraziamenti all’Editore, Francesco Gaetano Caltagirone, per l’occasione offerta scommettendo su un giovanissimo e l’assoluta libertà che mi ha concesso nei sette anni; al presidente della società Albino Majore, per come mi ha accompagnato da vicino e da lontano; alla redazione tutta, per come mi ha seguito in questo lungo tempo, dal redattore capo centrale Antonello Velardi – motore di un quotidiano – ai tanti corrispondenti da piccole e grandi città della Campania che sono la vera anima del Mattino. In bocca al lupo a Virman Cusenza, di cui ho apprezzato le qualità di equilibrio e competenza in un anno e mezzo di collaborazione con me da vicedirettore. A lui passo il testimone di un giornale libero e autorevole

ilmattino.it           inserito da Michele De lucia 

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