Ansaldi è stato ucciso, per il ginecologo napoletano morto a Milano l’ipotesi omicidio

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Ansaldi è stato ucciso, per il ginecologo napoletano morto a Milano l’ipotesi omicidio . A scriverlo oggi con tutti i particolari il Mattino di Napoli, principale quotidiano della Campania a firma di Leandro Del Gaudio
Non è stato un suicidio. Non poteva essere un suicidio: non in quel modo, non con quell’arma, né in quella posizione. Non fu un colpo secco, a partire dalla gola, ma un taglio rimasto relativamente in superficie, provocato da un uomo alle spalle, un destrimane, che ha agito al termine di una probabile (rapidissima) colluttazione. È questa la convinzione del medico Fernando Panarese, consulente degli avvocati Francesco Cangiano e Luogo Sena, per conto della famiglia del ginecologo Stefano Ansaldi, morto in circostanze ancora poco chiare a Milano, lo scorso 19 dicembre, in un sottopassaggio di via Macchi.
Dopo sei mesi di indagine, la Procura di Milano si appresta a chiedere l’archiviazione del caso, battendo sulla pista del suicidio, un raptus di violenza autolesionistica dopo aver vagato per qualche ora nei pressi della stazione di Milano (magari dopo aver visto sfumare un progetto di lavoro). Diversa è invece la pista battuta dalla difesa della famiglia, che non ha mai creduto alla pista del suicidio. E che ha depositato – tramite i due legali napoletani – il frutto di una consulenza medica che prova a demolire tutti i punti legati alla pista del suicidio. Proviamo a ricostruire la trama difensiva che – facendo leva su argomentazioni mediche, ma non solo – punterà ad opporsi alla richiesta di archiviazione del fascicolo, da parte della Procura di Milano. Partiamo dallo strumento usato per squarciare la gola del ginecologo in trasferta a Milano. Un coltello dalla lama di venti centimetri, mai riconosciuto dalla moglie e dai parenti del professionista 65enne. Perché usare quel coltello? È un primo tassello che consente al consulente Panarese di avanzare forti dubbi a proposito dell’ipotesi suicidio. Un ginecologo e anche chirurgo – si legge nella sua consulenza – era «abile a maneggiare il bisturi con provata naturalezza», in quanto tale possiede bisturi e, qualora si fosse trovato «fuori sede», avrebbe avuto gioco facile a procurarseli. Poi si entra nel merito di considerazioni più strettamente tecniche, legate alle «evidenze diagnostiche». In sintesi, la direzione del taglio alla gola, gli organi che sono stati toccati dalla lama e la posizione che avrebbe assunto il medico nell’azione di presunto autolesionismo vengono ritenuti anomali: «Chi ha in mente un atto autolesionistico utilizza il mezzo più disponibile, più agevole e efficace», spiega il medico.
LA RICOSTRUZIONE
Stando agli atti, lo squarcio alla gola è partito dal pomo di Adamo (entrata) all’angolo della mandibola a destra (in uscita). Riflette invece il medico della famiglia di Ansaldi: non c’è segno di significative lesioni di punta (la trachea è integra), ma di un taglio verso l’alto che, in una ipotesi di suicidio, si giustifica solo con una torsione anomala del corpo di Ansaldi. Quanto basta a spingere i legali di parte a battere sulla pista dell’omicidio. In che modo? Aggressione alle spalle da parte di un destrimane, che avrebbe provocato una rapida colluttazione, nello strenuo tentativo da parte del 65enne di salvarsi la vita. E in questa ricostruzione ci sono due aspetti sottolineati dal medico: il foro sul dito indice del guanto di lattice calzato dal medico (in funzione anti Covid, proprio di chi prova a salvarsi la vita dal contagio, ndr); e l’orologio Rolex trovato a terra, che sarebbe caduto nel corso della colluttazione (anche se non è chiarito il motivo per il quale l’orologio recasse il cinturino saldamente chiuso). Dunque omicidio come ipotesi più probabile, in uno scenario che resta controverso e aperto sotto il profilo investigativo. Come è noto, mentre la Procura di Milano indaga sulla morte di Ansaldi, a Napoli esiste un fascicolo che punta a verificare la possibile trama di relazioni che avrebbero spinto il professionista a recarsi a Milano, in piena seconda ondata di Covid, a pochi giorni da Natale. Inchiesta condotta dai pm Giuseppina Loreto e Maria Sepe, sotto il coordinamento del procuratore Gianni Melillo, la storia è per molti versi nota: beneventano d’origine, specializzato in fecondazione assistita (esercitava in piazza Cavour e a Posillipo), Ansaldi il 19 dicembre doveva incontrare un uomo d’affari proveniente da Lugano. Un incontro saltato in extremis, mentre restano al vaglio dei pm napoletani alcuni contatti con soggetti legati alla camorra di Miano. Quanto basta a spingere i pm napoletani a valutare una ipotesi choc: il professionista potrebbe essere stato pressato da qualcuno interessato a usare la sua fama per operazioni opache, finalizzate a ripulire (in Svizzera o a Malta) il tesoretto della camorra. Una ricostruzione che fa leva sul lavoro investigativo condotto dalla Procura di Napoli, che punta a ricostruire i canali del riciclaggio del denaro sporco. Non è la prima volta che personaggi di riconosciuta esperienza professionale (spesso medici) finiscono nelle trame della camorra targata clan Lo Russo. Ad avvalorare questa possibilità ci sono due circostanze non secondarie: Ansaldi aveva avuto problemi economici; nello studio del professionista era stato visto dai suoi collaboratori un uomo misterioso, rimasto senza nome. Circostanza strana, dal momento che – per questioni legate alla fecondazione assistita – è più facile vedere una coppia. In sintesi, chi era mister x nello studio napoletano di Ansaldi?

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