Ravello. Il 26 maggio di 140 anni fa, il magico giardino di Klingsor fu trovato da Wagner

Ravello. Il 26 maggio di 140 anni fa, il magico giardino di Klingsor fu trovato da Wagner . Lo ricorda il professor Luigi Buonocore
«Entrammo nella vecchia Ravello; nella solitudine di queste rocce ci trovammo improvvisamente di fronte ad una città moresca con torri e case ornate da fantastici arabeschi. Qui ci sono solo alberi, rocce e, più in basso, in una lontananza di sogno, il mare, talvolta rosso come porpora.»

Così Ferdinand Gregorovius, nel 1872, descriveva una città dai nobili natali, ricca di vestigia del passato che, dopo un lungo letargo, diventava meta dei viaggiatori europei, attratti da quelle bellezze della natura e dell’arte capaci di trasformare in viaggio in una serendipity, felice e inaspettata scoperta a rigenerazione dell’animo. Questo meraviglioso scenario dovette aprirsi anche agli occhi di Francis Nevile Reid, botanico scozzese ed appassionato cultore d’arte, che nel 1851 aveva acquisito l’ hospitium domorum dei Rufolo.

Il complesso monumentale aveva magnificato la nobile famiglia, il suo orgoglio, la sua potenza economica e politica, giunta al massimo splendore con la corona angioina. Sovrani e pontefici erano stati ospitati nei luoghi in cui sembrava di intravedere “quel palagio con bello e gran cortile nel mezzo e con logge e con sale (…) e con giardini meravigliosi e con pozzi d’acque freschissime”, cornice alla “onesta brigata” del Decameron. A metà dell’Ottocento, però, il palazzo presentava solo in minima parte l’aspetto originario per le distruzioni del tempo e le manomissioni subite dopo il tramonto della celebre prosapia. A partire dal XV secolo, infatti, la domus aristocratica era passata dapprima, per diritto di successione, alle famiglie Muscettola e Confalone e poi, successivamente, alla famiglia D’Afflitto che spese ingenti somme, finalizzate ad un intervento non sempre rispettoso delle pietre antiche. Il Palatium, però, era ancora capace di incarnare e di trasmettere quell’ideale romantico, alimentato da rovine, giardini e torri fiabesche, che rimandavano ad armigeri e damigelle dell’epica medievale.

Francis Nevile Reid provvide, pertanto, ai lavori di restauro, eseguiti nel pieno rispetto delle preesistenze, sotto la direzione di Michele Ruggero, architetto-archeologo di formazione neoclassica che nel 1875, con la nomina di Giuseppe Fiorelli alla Direzione Generale delle Antichità e Belle Arti del Regno, sarebbe poi diventato Soprintendente agli Scavi di Pompei. Gli interventi non si limitarono alle emergenze architettoniche, restaurate con gusto e sincerità, ma interessarono anche il giardino, arricchito da essenze mediterranee ed esotiche, provenienti da ogni parte del mondo. Veniva alla luce un percorso emozionale, impreziosito da corolle variopinte e ravvivato dal dolce gorgoglio di fontane zampillanti, mediante il quale la temperie romantica sembrava instaurare un intimo e sereno colloquio con la natura. I vigneti continuavano a distendersi su ampie zone della villa rampicando anche sui pilastri ottagonali che si ergevano lungo le terrazze. Palme e cedri, felci e pergolati di rose generavano luci ed ombre piene di colore, in grado di sublimare quello scenario fortemente suggestivo mentre ornati lapidei e fontane diventavano custodi di scorci mozzafiato. Curatore e capo giardiniere della proprietà ravellese era Luigi Cicalese Di Lieto, personaggio dalla barba fluente di singolari capacità, sempre in stretto contatto con il Reid, come dimostra una raccolta epistolare riferita agli anni 1885-1891: “caro Luigi, mi fa piacere sentire che l’acqua sia venuta, credo che ora sarebbe un tempo opportuno per fare eseguire gli accomodi alla vasca grande con ogni cura. Che pensate della cisterna dietro al Torrione? Se non ci si regge bisogna pure accomodare, ed in questa stagione sarebbe buono di far riempire le cisterne da Monsignore”, scriveva da Posillipo, il 25 marzo 1887, l’“affmo padrone Francesco Nevile Reid”. Una preziosa corrispondenza da cui emergono i tratti distintivi del Lord, che gioisce per il successo riscosso dall’edera d’oro ad Edimburgo o per le splendide pansé “ammirate da molte persone”, senza lesinare un pensiero alle “rose e ai fiori di arance”, alla magnifica peonia, (“peccato che non sappiamo come moltiplicarla”) mentre si dimostra prodigo di consigli (“quest’anno bisogna cercare di migliorare la coltivazione del Seakale”) e invita ad aspettare qualche giorno ancora prima di “scovrire i limoni, l’annata è così strana”.

“Die Klingsor Zaubergarten is gefunden – Il Magico Giardino di Klingsor è trovato, 26 maggio 1880”. Il celebre autografo di Richard Wagner, lasciato nell’albo della futura Pensione Palumbo, a perenne ricordo di quel giorno memorabile, sembra ancora riecheggiare tra gli alberi secolari e le antiche rovine di Villa Rufolo. Dopo un breve soggiorno ad Amalfi, Wagner era giunto in città, a dorso di un mulo, in compagnia della famiglia e del pittore Paul von Joukowsky, conosciuto qualche mese prima nella Villa d’Angri a Napoli.

Grande fu l’emozione del Maestro di Lipsia che, alla vista di Palazzo Rufolo, delineato da fiori esotici e cortine medievali, in un momento di vera e propria estasi, trovò l’ispirazione per l’ambientazione del quadro scenico del II atto del Parsifal, subito abbozzato dal pittore russo.

Tra intrighi d’ombra e di luce, il maestro ebbe innanzi agli occhi il palazzo di Klingsor, la torre merlata, il magico giardino dai colori d’oriente dove le belle fanciulle-fiore cercano di sedurre il “puro-folle”, e dove Kundry con un bacio apre l’animo di Parsifal allo strazio della colpa. Un incanto che sprofonderà in un deserto scenico ed interiore. Crollano, infatti, le meraviglie del mago quando Parsifal traccia con la sacra lancia il segno della croce. “Queste architetture arabo-normanne somigliavano a certi melismi che Wagner aveva scoperto per il Parsifal. In un’ultima ebbrezza creativa il Maestro lottava contro se stesso: era lui il mago Klingsor, aveva affascinato l’arte e stregato il mondo”.

A distanza di 140 anni, il giardino fatato, apparso al Genio di Lipsia, rivive ancora oggi nelle eterne melodie che riecheggiano tra la vegetazione lussureggiante e le emergenze architettoniche, aperte a visioni di mare e di cielo, in una perfetta fusione di arte e natura. Un patrimonio unico e insostituibile, espressione dell’identità culturale cittadina, che Ravello, gelosa custode delle testimonianze del passato, memore della sua vocazione internazionale, offre al mondo intero.

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