LA CUCINA DI PASQUA

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Forse il coronavirus farà riscoprire a molti il piacere di trascorrere la Pasqua in casa, magari con le famiglia al completo (non è il mio caso, qui siamo rimasti cric e croc soltanto), consentendo anche di dedicare un po’ di tempo ai fornelli.
Ecco qualche consiglio.
LA CUCINA DI PASQUA
Con una esplosione di profumi e sapori, Pasqua segna la conclusione della quaresima, iniziata all’indomani dell’ultimo martedì grasso: un periodo di preparazione durato quaranta giorni (quarantaquattro, con le domeniche) caratterizzato da penitenza e digiuno, che cessa con la resurrezione di Gesù. E siccome coincide col periodo in cui si ammazzano i maiali, ecco che nel menu la carne suina la fa da padrona. Sotto forma di fellata (sopressate e capicolli), che si abbina al casatiello (tortano di pane con sugna e cicoli, decorato con uova intere, cotte anch’esse in forno), alla ricotta salata ’e Montella (si fa per dire, ora la producono in Sardegna) da gustare insieme alle fave fresche, primizia di stagione (dalla mia prigione domestica non riesco a sapere se ce ne sono già sul mercato). Poi c’è la menesta maretata, che a Napoli, in epoca borbonica, chiamavano anche menesta cu no palmo ‘e grasso: un trionfo di verdure, calate in un brodo nel quale si son messe a cuocere parti meno nobili del maiale, ma dal sapore intenso: insaccati – pezzente, annoglie -, cartilagini e ossi tenuti in salamoia. Questo, senza rinunciare al primo piatto – maccheroni al forno o conditi con ragù di carne (col ragù si sposano a meraviglia i ricci furetani) – e al capretto (in costiera preferito all’agnello) contornato da patatine novelle (da un po’ di anni vi ho rinunciato: sono passato dalla parte degli ovini).
Dulcis in fundo, il casatiello dolce sormontato dalla pecorella di zucchero o marzapane, e soprattutto la pastiera, dal profumo inebriante di cedro e fiori d’arancio. Rigorosamente di fattura domestica, con quel tocco personale che la distingue dalle altre. Una grande abbuffata? No, semplicemente il trionfo del gusto e dello stare insieme perché – recita un antico detto, e vale specialmente per i giorni di festa – “chi magna sulo s’affoca”.
Sigismondo Nastri (‘A Cannarizia)

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