Positano ricorda Flavio Bucci ”Oggi vogliamo tutto e subito, stiamo perdendo la gentilezza”

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Negli anni 80 Flavio bucci è stato un frequentatore di Positano, soggiornava in un appartamento del Palazzo Perrella. Amava la perla della Costiera amalfitana dove , come tutti sappiamo, c’è sempre stato un’ambiente alternativo e la possibilità di confronti culturali e sociali sopratutto da quelle cerchie di turisti de Roma e di Napoli , i “romani” e i “napoletani” dell’alta borghesia, che si riunivano qui .

«Non mi pento di niente» andava ripetendo Flavio Bucci, che ieri è morto – pare per infarto – nella casa famiglia di Fiumicino che da qualche tempo era diventata il suo rifugio, forse la sua tana. Non era un segreto ciò di cui avrebbe dovuto pentirsi questo attore di 73 anni, nato a Torino nel ’47 da padre molisano e madre pugliese, che colpiva per la faccia un po’ asimmetrica, gli occhi sporgenti e la voce eternamente velata da una specie di fatica che le impediva di uscire limpida. Forse avrebbe dovuto pentirsi delle 50 sigarette al giorno, delle bottiglie di vodka, della cocaina in cui ha bruciato una quantità impressionante di soldi, così come avrebbe dovuto pentirsi della smania di vivere che lo ha portato ad avere due mogli, tre figli, un numero imprecisabile di donne. Di tutto questo Bucci non riusciva a pentirsi perché, confessò, non si sentiva colpevole verso nessuno. Invece gli dispiaceva ritrovarsi senza un soldo, senza casa, obbligato ad appoggiarsi a un bastone con la testa di cane per una frattura all’anca e tristemente solo, messo ai margini, dimenticato da tutti, o quasi.

Addio a Flavio Bucci: la scena cult dell’esecuzione ne “Il marchese del Grillo”

Eppure, oltre che attore importante e dotato di un suo specialissimo stile, aveva avuto un enorme successo per lo meno a partire dal 1977, e cioè da quando aveva interpretato in tv, nello sceneggiato di Salvatore Nocita, il personaggio di Antonio Ligabue. Era stato straordinario quella volta. Ogni giorno tre ore di trucco, strati di lattice sulla faccia, due calotte in testa, un paio di baffoni, occhi spiritati ed eccolo trasformato nel pittore della Bassa innamorato delle motociclette e delle donne e capace di dipingere uomini e bestie come nessuno prima di lui.

Prima del Ligabue, Bucci aveva lavorato prevalentemente in teatro, si era messo al servizio dello Stabile di Torino, aveva creato un capolavoro interpretativo con Le memorie di un pazzo di Gogol’, con cui girò per parecchie stagioni. Aveva vent’anni quando prese il treno e da Torino andò a Roma a casa di Gian Maria Volonté, che per prima cosa gli fece prendere la tessera del Pci e poi lo portò a lavorare sul set di La classe operaia va in paradiso di Elio Petri, che Bucci chiamava Capoccione «perché aveva grandi idee ma anche un grande testone, e se sbagliavi ti menava». Poi fece coppia con Ugo Tognazzi nel film La proprietà non è più un furto di Elio Petri, e con Tognazzi fu l’idillio («lui sì che sapeva vivere»). Andò meno bene con Alberto Sordi nel Marchese del Grillo di Monicelli, per il semplice fatto che ogni giorno, alla pausa pranzo, Sordi gli mandava qualcuno a chiedergli se avesse avanzi per i cani. E lui, rabbioso: «Mi sono mangiato anche gli ossi».

Addio a Flavio Bucci, quando doppiò John Travolta in “La febbre del sabato sera” e “Grease”

Erano ormai gli Anni 80 e per Bucci fu un continuo alternare il cinema con il teatro. Aveva successo e il successo gli piaceva. Diceva quasi con stupore: «Mi danno due milioni a sera». E li spendeva come sappiamo. Fu un magnifico Mattia Pascal e interpretò Chi ha paura di Virginia Woolf? con la regia di Marco Mattolini, fu chiamato da Mario Missiroli per I giganti della montagna: tutti spettacoli in cui metteva un segno fatto di zolfo, sguardi stralunati, spasimi che sembravano bruciare. Un po’ come nel cinema, nei moltissimi film (di Magni, Archibugi, Sorrentino) che a volte attraversava solo con un cameo. Ma da ultimo, con la povertà, non furono che silenzio e solitudine.

Ed ecco l’imprevisto. Ecco il regista Mattolini, l’amico di sempre, che gli propone di portare in teatro uno spettacolo autobiografico di cui esistono già le piazze. C’è anche il titolo: E pensare che ero partito così bene. Bucci in scena dovrà rappresentare se stesso, la sua vita gloriosa e sciupata senza rimorso, un ricordare denso e lieve come il fumo di una sigaretta. Sei pronto? Certo che era pronto. Ma c’era stato giusto il tempo di dare il via.

Flavio Bucci intervistato nel 2019: ”Oggi vogliamo tutto e subito, stiamo perdendo la gentilezza”

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