Coronavirus. I motivi della rapida diffusione al Nord

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In appena un paio di giorni in Italia si sono superati i 130 contagi da coronavirus , oltre 90 solo in Lombardia , 25 in Veneto ma i dati sono destinati a crescere nelle prossime ore. Venerdì mattina l’Italia si è svegliata con l’incubo della prima vittima da coronavirus, Adriano Trevisan, 78 anni, morto all’ospedale di Schiavonia (Padova) dopo 10 giorni di ricovero. Un fulmine a ciel sereno piombato appena poche ore dopo la notizia dei primi contagi secondari, cioé quando le persone vengono infettate da altre provenienti dai luoghi dell’epidemia in Cina. E in 48 ore Lombardia e Veneto si sono ritrovate blindate, con scuole, luoghi di aggregazione, cinema, piscine chiusi per almeno una settimana con lo scopo di impedire la diffusione del virus.

Il ruolo degli ospedali

Ma perché i due focolai di coronavirus, quello in Veneto e quello in Lombardia si sono diffusi così velocemente? «C’è stata una non conoscenza dei sanitari che non sono stati in grado di riconoscere immediatamente i sintomi del virus» ha commentato il commissario all’emergenza Angelo Borrelli. All’ospedale di Codogno, dove è stato ricoverato il paziente 1, sono rimasti contagiati almeno 5 tra medici e infermieri. All’ospedale di Dolo, dove è stato ricoverato un pensionato di Mira, medico, infermiere e operatore sanitario che lo hanno seguito nella degenza sono risultati positivi al Covid-19. All’ospedale di Schiavonia, dove appunto è avvenuto il primo dei due decessi, finora nessun operatore sanitario risulta contagiato, ma l’ospedale sarà svuotato dopo che il primo paziente deceduto è rimasto ricoverato per dieci giorni. Per nessuno era stato sospettato un contagio da coronavirus. Al paziente di Schiavonia il tampone è stato fatto appena poche ore che morisse. «Non è un problema di quantità di test. Ci sono state situazioni in cui non si è stati in grado di riconoscere immediatamente i sintomi del virus» ha aggiunto Borrelli che sottolinea come non sia stata una «colpa» dei medici, quanto una «difficoltà» ad individuare i sintomi. «Quello che è successo in Italia è un caso da manuale in cui una o più persone vengono contagiate da chi arriva da un luogo di epidemia, e poi ci sono dei contagiati secondari con lo stesso tempo di incubazione » ha spiegato Walter Ricciardi, docente di Igiene alla Cattolica e membro del Consiglio esecutivo dell’Organizzazione Mondiale della Sanità. «Inoltre, quando vengono contagiati i medici significa che non si sono messe in campo le pratiche adatte, oltre al fatto che il virus è molto contagioso».

Il coronavirus non circolava

Del resto il coronavirus in Italia fino a pochi giorni fa non circolava. Nessuno dei pazienti era mai stato in Cina, e neppure risultavano contatti con persone rientrate dalla Cina. «Le manifestazioni cliniche dei ricoverati erano quelle dell’influenza: non si è pensato al coronavirus semplicemente perché in Italia non era mai stato segnalato se non per i due turisti cinesi ricoverati allo Spallanzani» giustifica Fabrizio Pregliasco, virologo e ricercatore del Dipartimento di scienze biomediche per la salute dell’Università degli studi di Milano. «Le diagnosi differenziali vengono eseguite quando c’è attenzione su un particolare patogeno, cose che appunto fino a pochi giorni fa non c’era». Non vengono neppure messi in atto protocolli di protezione particolari per i medici che assistono pazienti malati di influenza e questo ha permesso un’accelerazione alla diffusione del contagio perché gli operatori sanitari non erano evidentemente protetti in modo adeguato. «Medici e infermieri hanno un rischio maggiore di contagio perché hanno una vicinanza prolungata con il paziente, talvolta devono anche mettere in atto manovre invasive» aggiunge Pregliasco.

L’Italia (quasi) come la Cina

L’Italia ha vissuto la stessa situazione della Cina: si è trovata di fronte a un nuovo virus. Vero, se ne parlava da un mese, ma nessun caso secondario, come detto, era mai stato segnalato. «La differenza è che la Cina ha tentennato un bel po’ prima di comunicare al mondo l’esistenza del nuovo virus mentre l’Italia ha messo a disposizione i dati in modo istantaneo» precisa Pregliasco. Per il nuovo coronavirus è stato fatto uno screening «approfondito e capillare. Anche per questo i contagi sono emersi rapidamente» aggiunge il viceministro alla Salute, Pierpaolo Sieri con un post su Facebook. «Finora rispetto all’insorgere dell’emergenza Coronavirus sono stati effettuati oltre 3mila tamponi. Una cifra elevata, a dimostrazione che il livello di screening sanitario messo in campo nel nostro Paese è molto approfondito e capillare. Anche per questo in Italia sono emersi rapidamente in questi giorni i casi di contagio». Fabrizio Pregliasco aggiunge: «Identificando casi gravi in Italia è stata trovata la punta dell’iceberg dell’infezione e da lì si è andati in profondità con centinaia e centinaia di controlli. L’Italia ha cercato in modo attivo, attraverso i tamponi, gli eventuali altri contagiati con controlli a tappeto. Non escludo che nel resto d’Europa non siano emersi tanti casi come nel nostro Paese perché, non essendoci stati casi gravi, potrebbero non essere state svolte verifiche accurate come è successo da noi».

Fonte Il Corriere della Sera

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