Coronavirus. Avvocato napoletano contagiato: “La mia odissea kafkiana per sottopormi al test”

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Il racconto del 50enne positivo al tampone, ora in quarantena con la famiglia: “Ho chiamato i numeri per le informazioni ma nessuno mi ha dato risposte chiare. Nessuno poi mi ha comunicato l’esito degli esami”

“Sono preoccupatissimo, davvero. Ma non per me. Sto bene, oggi non ho febbre. No, sono spaventato per la mia città e per la nostra regione. Mi sono reso conto in prima persona che non siamo assolutamente in grado di affrontare alcuna emergenza. Se oggi ci fosse un’epidemia di colera, non so come andrebbe a finire”. È una storia “kafkiana”, quella raccontata a Repubblica dall’avvocato napoletano di 50 anni, risultato positivo all’esame del Coronavirus al rientro da Milano, dove era andato per ragioni di lavoro. Da mercoledì è in quarantena insieme alla moglie. “In realtà l’esito del test l’ho appreso dai giornali, non ho ricevuto alcuna comunicazione”, dice. Pone un’unica condizione, rispettare la sua privacy con l’anonimato. E accusa: “Da cittadino, non da avvocato, mi sono scontrato con una profonda inefficienza. Mi sono sottoposto spontaneamente al tampone, ma tra mille difficoltà. Vorrei che il governatore De Luca mi chiamasse, così potrei spiegarlo a lui direttamente. Devono capire che la macchina non funziona”.

Cominciamo dall’inizio. Quando è rientrato da Milano?

“Ci vado periodicamente perché con il mio socio abbiamo studio anche lì. Venerdì sono tornato a Napoli. Mercoledì mattina ho avuto la febbre. Mi sono consultato con un medico di fiducia e ho preso una tachipirina per farla scendere. Ed è iniziata la mia odissea”.

Perché?
“Ho seguito alla lettera le disposizioni: ho chiamato il numero verde, il 112, il 1500, poi il 118.
Nessuno mi ha saputo dare una risposta chiara. Eppure ho spiegato che arrivavo da una zona a rischio”.

Come le hanno risposto?
“Un medico del 118 mi ha detto che non potevano preoccuparsi di ogni banale influenza. Un altro mi ha chiesto: “Perché lei è andato a Milano?”. Quando ho risposto che ho uno studio legale, ho sentito che diceva sottovoce: “Questo è un avvocato”. E che significa, mica ho più diritti di qualcun altro?”

Poi che è successo?
“Su suggerimento del medico curante sono andato al Cotugno. Già all’ingresso, ho capito molte cose”.

In che senso?
“La mascherina per entrare al pronto soccorso veniva consegnata dalle guardie giurate che fumavano tranquillamente e bevevano caffé.
All’interno, mi sarei aspettato condizioni igieniche migliori, invece meglio lasciar perdere. Per fortuna sono stato uno dei primi. Ma volevano rimandarmi a casa, poi su mia insistenza mi hanno fatto entrare. Nella stanza, cestini con rifiuti. Mi hanno misurato la temperatura, non avevo febbre. Ma era normale, perché avevo preso la tachipirina”.

Quindi?
“Mi hanno fatto un tampone per l’influenza normale che hanno depositato tranquillamente sul davanzale di una finestra. Ed è uscito negativo. Quando ho spiegato che ero stato a Milano, un dottore si è innervosito”.

Come mai?
“Perché, ha detto, in pronto soccorso erano già andati dieci avvocati che lavorano a Milano e non si potevano fare i tamponi a tutti. E ha aggiunto: “Ma Milano non è zona rossa”. Però avevo viaggiato in metropolitana, che è frequentata da persone provenienti da tutto il mondo. Non sono un medico, ma credo che la logica della prevenzione debba essere proprio questa. Ho insistito, mi hanno fatto il tampone, accompagnato da un provvedimento di sorveglianza attiva che mi obbliga a restare per 14 giorni a casa. Ma non è finita”.

Si spieghi.
“Mi hanno dato un numero fisso per chiedere informazioni. Non hanno mai risposto. Ho saputo ufficiosamente che il tampone era negativo. Ora leggo sui giornali che hanno mandato il campione allo Spallanzani perché sarebbe uscito positivo. Ma ripeto, non è questa l’amarezza principale”.

E quale, allora?
“Ho praticamente costretto i medici a farmi il tampone, per rispetto a me stesso, ai miei familiari, amici, colleghi e a tutti i cittadini. Capisco la curiosità anche morbosa di conoscere il mio nome. Sarò il primo ad avvisare chi ha avuto contatti con me, se avrò la conferma della positività. Ma ci dobbiamo preoccupare soprattutto del fatto che non siamo assolutamente in grado di garantire la prevenzione.
Chi sostiene il contrario, fa campagna elettorale sulla pelle dei cittadini”.

Fonte La Repubblica

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