Tra Salvini e sardine, la legge del carciofo

Mi si chiede da più parti di dire una parola sull’Avvento, pronunciarmi in merito agli ultimi eventi accaduti in Italia e a Sorrento e cioè della nascita e del proliferare della spontanea e ittica protesta e la visita di Salvini nell’amena Penisola. Posso anche sbagliare ma credo che il teologo non debba essere avere nessuna tessera di partito anche se, Aristotele docet, non può disinteressarsi della politica, perché gli sta a cuore la polis. Ovviamente userò un linguaggio consono alla mia fede, dettato anche dal fatto che il Vesuvio, misericordioso, ha donato al visitatore padano i suoi colori e i suoi profumi, anziché cenere e lapilli da lui tanto evocati in un recente passato sui “napoletani” forse per lui, fino a ieri, non italica gente! Ma veniamo al dunque, la vita e la società umana sono radicalmente condizionate dalla natura dell’amore che anima i cuori degli uomini che dovrebbe portare a costruire una comunità di carità, di agape fraterna. Ma l’amore è sorretto da tre virtù indispensabili: umiltà, pazienza e temperanza. Parlo della prima perché so di non possederla appieno: l’umiltà! Per assurdo questa, dai più bistrattata virtù, esalta la persona esortandola a riconoscere la sua vera essenza: creatura e non Creatore. L’umiltà non richiede maschere e cerone, sa riconoscere anche i talenti e se ne mostra grata. Ognuno può guardare in tutti le fedi e nei visi variopinti dello splendido diamante che è l’uomo, si possono trovare modelli e ispiratori. Tra poco deporremo un Bambino in una mangiatoia, simbolo di estrema povertà e umiltà, quel Bambino diventato uomo disse: «Imparate da me, che sono mite e umile di cuore» (Mt 11,19). Può sembrare una bazzecola ma dopo quella sfolgorante Domenica, quando l’Umiltà ha sconfitto l’arroganza della morte, i seguaci del “folle” Nazareno hanno improntato la loro vita sulla pazienza. I Padri della Chiesa, cito a memoria Tertulliano e san Cipriano, hanno considerato questa virtù una grande innovazione cristiana in un mondo pagano. Andiamo indietro di quasi duemila anni, Gesù è risorto e ha promesso che sarebbe ritornato; vivere una vita in cui il compimento delle proprie speranze non è a portata di mano, dove spesso la croce precede la risurrezione, dove spesso dicevano: «quann’ vò Dio», occorre tanta, ma tanta pazienza. Certo loro, i primi cristiani, erano ancora legati strettamente agli Apostoli e venivano sorretti dalle parole di san Giacomo: «E la pazienza completi l’opera sua in voi, perché siate perfetti e integri, senza mancare di nulla» (Gc 1,4). «Senza mancare di nulla», eh sì, perché la pazienza, che perdiamo troppo spesso, è legata indissolubilmente alla povertà di spirito (Beati i poveri di spirito…), la temperanza, il dominio di sé. Infatti, un uomo non può amare veramente gli altri se manca di temperanza. L’uomo temperante ricercherà ciò che la ragione e la fede gli indicano come vero bene, invece di lasciarsi trascinare istintivamente da un comportamento che è pura richiesta di soddisfazione immediata, fosse pure mostrare e baciare rosari e crocifissi. Sembra roba da poco ma l’intemperanza vanifica il meglio di noi: «Infatti io non compio il bene che voglio, ma il male che non voglio compio» (Rm 7,19). Ovviamente non c’è imbonitore di turno che possa coarcire la nostra volontà, anche se a volte le circostanze, la fragilità umana, diminuiscono di molto la responsabilità personale. La crescita nelle virtù esige uno sforzo generoso per rispondere positivamente alla propria chiamata, è difficile raggiungere l’habitus, come direbbe san Tommaso, ma in questo modo è possibile «rivestire l’uomo nuovo, creato secondo Dio nella giustizia e nella santità» (Ef 4,24). Ci stanno convincendo che possiamo fare a meno dell’Europa, che i migranti ci rubano il futuro e le speranze, ma nessuno ci dice di una vita vissuta «con ogni umiltà, mansuetudine, pazienza, sopportandoci a vicenda con amore», non sono parole mie, le pronunciava l’Apostolo delle genti (Ef 4,2). Qualche dissenziente, non per forza marxista, mi dirà che la religione è «l’oppio dei popoli» che così si vive una vita spoglia di ogni cosa, ma a tutti ricordo, invece, che è una vita vissuta «tutto possedendo» (2Cor 6,10). Siete liberi di seguire chi volete, ma ho il dovere morale di dirvi che seguendo i maestri del dubbio e dell’odio, di chi non onora la Segre e non dà la mano a una giovane nera, a chi si offende perché qualcuno gli fa notare che Gesù era ebreo, a chi dice che ad Auschwitz c’erano le piscine, percorrerete la strada della progressiva perdita di ogni valore. La legge inesorabile è quella del carciofo: oggi togli una foglia, domani un’altra…, finché ci troviamo in mano solo il torsolo. «Dio è morto» ed ecco che stringiamo la mano e non abbiamo più niente: ci rimane solo la disperazione del nulla, che non è proprio un grande acquisto!
Aniello Clemente

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