Raffaele Mansi, il prete partigiano di Ravello amico di Pier Paolo Pasolini

Ravello, Costiera amalfitana Raffaele Mansi, il prete partigiano di Ravello amico di Pier Paolo Pasolini . La Città della Musica sorprende per la sua inesauribile risorsa di perle di storia, cultura, letteratura. In Costa d’ Amalfi Ravello staglia con personaggi di grande spessore e umanità e oggi su La Città di Salerno ne tratteggia in punta di penna il giornalista Clodomiro Tarsia che riprendiamo ” Al tempo della Resistenza don Raffaele Mansi, nato a Ravello nel 1909, viveva nascosto nel minuscolo paese dove si era rifugiato anche il giovane Pier Paolo Pasolini, Casarsa della Delizia, in riva al Tagliamento e ai piedi delle grandi cime del Friuli. Date le piccole dimensioni del borgo e i pochi abitanti, è quasi impossibile che i due non si conoscessero perché, pur essendo divisi dalle diverse visioni della vita, erano accomunati da interessi convergenti quali l’antifascismo, la necessità di sfuggire ai rastrellamenti delle SS e l’insegnamento che entrambi praticavano volontariamente in scuole di fortuna in favore dei ragazzi impossibilitati a raggiungere Pordenone e Udine a causa dei bombardamenti e delle continue sparatorie tra nazifascisti e partigiani. Molto probabile, quindi, che i due si scambiassero intese e notizie utili alla loro condizione di insegnanti e ricercati. Ma un altro elemento comune di non poco conto si aggiunse il giorno in cui il sacerdote ravellese salì in montagna per aderire alla “Osoppo”, la stessa brigata partigiana in cui militava Guido, il diciannovenne fratello di Pasolini, che si manteneva sempre in contatto con i familiari. Pasolini, non ancora famoso, aveva 21 anni e si era nascosto a Casarsa per essersi rifiutato, da militare a Pisa, di consegnare le armi ai tedeschi il giorno dopo l’armistizio. Indossati gli abiti civili, assieme alla madre Susanna Colussi e a Guido, aveva lasciato Bologna alla volta della lontana Casarsa, dove si trovava ancora la casa materna. Tutt’altra vicenda quella di don Raffaele Mansi, sacerdote appartenente a una nota famiglia di Ravello la cui stella polare era il padre Carmine, più volte sindaco e agiato imprenditore che aveva strappato all’abbandono, la famosa Villa Cimbrone ristrutturandola su la “Brennero” fu coinvolta nello sbando generale e si sciolse. In pochi aderirono all’invito di confluire nell’esercito di Salò e la conseguenza fu che scattò la deportazione in Germania. Il treno su cui fu spinto il cappellano ravellese giunse nella stazione di Casarsa e, poiché era calato il buio, fu fatto sostare su un binario morto. Durante la notte, un surreale bisbiglio femminile proveniente da sotto il vagone ruppe l’angosciato sonno di don Mansi e degli altri prigionieri. Avvertì quei poveracci di non disperare, chè c’era un piano per liberarli. I prigionieri prima trasalirono, poi restarono in trepida attesa. Dopo qualche ora, il bisbiglio femminile tornò a farsi sentire, avvisando che era tutto a posto, che le chiusure esterne del vagone erano state scassinate e che quando il treno, dopo la partenza, avrebbe rallentato in discesa, dovevano aprire il portellone e buttarsi giù, non essendovi alcun pericolo data la velocità molto ridotta del convoglio. La fuga riuscì perfettamente e, una volta in salvo, i prigionieri fecero conoscenza con i loro liberatori, tutti ragazzi e ragazze con il distintivo dell’Azione Cattolica sul petto. Alle loro spalle c’era il parroco di San Giovanni di Casarsa, don Giuseppe Picco, il quale aveva messo la canonica a completa disposizione dei bisognosi, dei poveri, degli sfollati e degli ebrei perseguitati. I giovani della locale Azione Cattolica andavano a raccogliere lungo i binari i bigliettini con i messaggi e gli indirizzi lasciati cadere dai treni dai deportati e nella canonica, covo di una resistenza a scopo umanitario, venivano letti e catalogati e una cartolina era inviata ad ogni famiglia. Don Mansi collaborò attivamente in questo lavoro e nella raccolta dei viveri, degli abiti civili e dei documenti falsi da fornire ai soldati sbandati. Un lavoro estremamente rischioso. Constatate la sua cultura e disponibilità, il parroco Picco lo pregò, responsabile di “Lotta Continua” e autore del film “Decameron”, Orso d’Argento a Berlino, lavorava al romanzo-inchiesta “Petrolio” e al nuovo film “I racconti di Canterbury”. La sua vita di contrasti, cadute, equilibri precari e grandi riconoscimenti, fu spezzata il 5 aprile 1975 sulla spiaggia di Ostia da un ragazzo di vita. Sono rimaste in piedi le ombre di un complotto politico mai provato”

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