Meta. Turista inglese stuprata: ecco l’analisi dettagliata del processo

Meta. Ecco l’analisi di Maria Luisa Palomba, riguardo il processo dei ragazzi condannati per lo stupro di una turista inglese ad ottobre 2016:

Inizio con un ringraziamento alla redazione per avermi permesso un intervento sul caso, considerata la citazione dei miei commenti sul web. Non voglio tediare i lettori con un articolo lungo e troppo tecnico, perché mi rendo conto che la materia scientifica in questione sia di difficile comprensione per tutti, data la sua particolarità. Parto con un breve accenno agli effetti che la ‘droga da stupro’ ha sul corpo e la psiche delle vittime a cui viene somministrata: la letteratura scientifica ci insegna che il soggetto che la assume ha difficoltà, se non impossibilità, nella deambulazione e nel movimento in generale, incapacità di ricordo (parliamo di amnesia anterograda, ovvero tutto ciò che avviene dopo l’assunzione non viene ricordato) e soprattutto incapacità di prendere coscienza di ciò che si sta facendo e, quindi, di intendere o volere. Detto questo, addentriamoci nel processo in questione: la presunta vittima afferma di essere stata drogata attraverso un cocktail da lei richiesto la sera dell’evento quando era seduta al bancone del bar.

Stando a quanto sappiamo, quindi, da quel momento in poi lei avrebbe dovuto: 1) non ricordare nulla, o quantomeno avere ricordi ‘a macchia di leopardo’, quindi confusi e distorti. 2) essere incapace di muoversi. Lei, al contrario, narra i fatti secondo una logica spazio temporale ineccepibile: ci parla di aver notato un anello al dito di uno degli imputati e di aver capito che fosse una fede, ricorda con perfezione il taglio di capelli di un altro ragazzo che le era saltato all’occhio, il tatuaggio sul collo che ne contraddistingue un altro dei 5 e, ancora, il neo in fronte di un altro ancora; descrive i rapporti sessuali avuti (che, ricordo, non sono mai stati negati) in maniera minuziosa e, addirittura, dice di preferire qualcuno piuttosto che qualcun altro. Sua figlia, addirittura, racconta di averla vista parlare in maniera sciolta e disinvolta con i baristi e ricorda che, nel momento in cui lei era in bagno, le ha dato le chiavi della loro stanza dicendole apertamente ‘vai in camera, io rientro più tardi’. La stessa figlia che, a fine serata, la incontra sulla porta della loro stanza in compagnia di un giovane e afferma di vederla ‘tranquilla e serena, tant’è che ho pensato avesse trascorso la notte con lui’. Una volta rientrata in camera, la donna afferma di aver urinato e defecato sangue: bene, l’infermiera (ascoltata in sede dibattimentale tramite videoconferenza) che l’ha visitata nel centro anti violenza inglese al momento del suo rientro in patria e quindi della denuncia, afferma di non aver trovato lesioni sul corpo della donna, né tanto meno internamente al tratto vaginale, fatta accezione per un’abrasione da sfregamento di 1 cm sulle piccole labbra che non perdeva sangue; inoltre, sui vestiti indossati la sera dell’evento né durante i sopralluoghi nelle stanze dell’hotel sono state rinvenute tracce di sangue.

Nonostante si sia cercato in lungo e in largo (tramite intercettazioni e sequestro di apparecchi mobili) una qualsiasi prova che potesse insinuare una premeditazione da parte degli imputati, niente è stato trovato: è stata portata all’attenzione di tutti una chat whatsapp denominata ‘Cattive abitudini’ (di cui non tutti gli imputati facevano parte) e nella quale, espressioni goliardiche a parte che moralmente parlando possono innervosire, non c’è stata traccia né menzione di violenze precedenti o di una qualsiasi organizzazione, né tanto meno sono state trovate conversazioni o ricerche (sia precedenti l’evento che posteriori) riconducibili all’uso o allo spaccio di sostanze stupefacenti. È stata fatta fantascienza sul nome di questo gruppo come se, per assurdo, questi ragazzi fossero Nostradamus e gli avessero affibbiato questo titolo per far capire agli inquirenti in futuro abbastanza remoto dove andare a pescare prove di colpevolezza. E, ciliegina sulla torta, la dottoressa Sabina Strano Rossi (a cui è stato affidato dal tribunale l’incarico di svolgere una perizia che fosse imparziale) ha chiaramente affermato che, vista l’assenza di sostanze psicotrope e dei relativi metaboliti nel campione di urina prelevato alla P.O 36 ore dopo l’evento, secondo la tossicologia è ALTAMENTE IMPROBABILE che la donna in questione abbia assunto o le siano state somministrate sostanze droganti la sera in questione. Detto questo, che è verificabile attraverso tutti gli atti ufficiali o che avreste potuto apprendere tranquillamente se aveste partecipato alle udienze, mi perdo in una breve questione morale, considerato che la si sta svolgendo su questo piano: quale DONNA non si preoccupa della salute di sua figlia e la lascia nel bagno di un albergo a vomitare? Quale DONNA, stuprata violentemente, sceglie deliberatamente di tornare in patria e di non comunicare a nessuno, nemmeno alla figlia che le dorme accanto, ciò che le è accaduto, nonostante gli innumerevoli aiuti che le siano stati offerti in maniera tempestiva? E ancora, perché sono state fatte ricerche a macchia d’olio sulla vita di tutti gli imputati, mentre sulla vita della presunta vittima non si è mai investigato? Perché, forse, si poteva mettere in dubbio la credibilità del soggetto? A questi quesiti hanno, di loro pugno, cercato di far luce gli avvocati e, nonostante i tentativi della P. O di nascondere le notizie, di lei sappiamo che: è una scrittrice di romanzi a sfondo pedopornografico; ha subito abusi di natura sessuale all’età di 9/10 anni; il suo secondo marito è stato un uomo violento che l’ha segregata in casa per diversi anni e l’ha costretta ad assumere psicofarmaci; lei stessa, messa alle strette in fase di contro esame, afferma di essere avvezza all’uso di psicofarmaci e di aver smesso solo nel giugno del 2016 (3 mesi prima dell’evento). Tutto questo non perché voglia sindacalizzare un passato burrascoso che, ahimè e soprattutto, avrà segnato la vita e la psiche di questa persona ma perché, a malincuore lo dico, lo stesso rende la sua attendibilità e fermezza mentale pari allo zero. Visto che siete tutti giudici fatti e finiti, vi chiedo di sindacalizzare ciò che ho scritto e di dirmi ancora una volta, quando affermo che mi vergogno del non rispetto che c’è nei confronti di donne che davvero sono vittime di violenza, che anche io da donna mi sottopongo ‘alla legge dei padri e dei mariti’. Fate un po’ voi e, visto che siete tanto bravi, informatemi dei colossi che mantengono in piedi questo processo e delle ragioni per cui la condanna inflitta ai 5 imputati sia giusta, perché è evidente che alla luce di tutto, non c’è nulla che si possa dire più.

Maria Luisa Palomba

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