Da Amalfi a Milano Gaetano Afeltra uno specchio del giornalismo

Domenico Della Monica su La Città di Salerno tratta un profilo del nostro grande giornalista. L’inviato speciale era titubante. Gli era stato appena comunicato che avrebbe dovuto partire subito. Era in vista una trasferta scomoda, servizio probabilmente poco stimolante. E poi a casa aveva il bambino col morbillo. Già risuonavano nelle sue orecchie le urla della moglie: «Ancora via? È possibile che tu debba sempre scappare quando c’è bisogno di te? Non pensi che al tuo lavoro, per te esiste solo quello!». Fu allora che il direttore Gaetano Afeltra pronunciò uno dei suoi motti celebri: «Devi partire, il giornalismo deve essere orfano, scapolo e bastardo! ». Gaetano Afeltra non aveva mai fatto l’inviato speciale. Anzi, si può dire che in tutta la sua straordinaria carriera abbia scritto poco. Ma da mitico “costruttore” di giornali era lui che dava l’imbeccata giusta. È rimasta memorabile una sua telefonata a Indro Montanelli da poche ore sbarcato a New York: «Indro, mi serve un pezzo sull’America entro un paio d’ore». «Ma che cosa vuoi che ti scriva. Sono arrivato adesso, ho appena messo piede in albergo, non ho visto nessuno, conosco solo questa stanza». Alcuni secondi di pausa: «Indro, cosa c’è nella stanza?». »Un sacco di bottoni. Non so a cosa servano». «Indro, premili tutti e poi descrivi cosa succede ». Senza essere mai stato a New York, Afeltra aveva messo a fuoco uno dei miti del costume americano: l’efficienza. Afeltra fu uno di quegli uomini che contribuirono a «rendere grande Milano», come sottolinea la motivazione di uno dei tanti premi ricevuti. Nel capoluogo lombardo Afeltra era giunto giovanissimo dalla natìa Amalfi. Un viaggio struggente descritto in “Corriere primo amore”, il suo primo e forse più bel libro. L’amore per il giornalismo traeva probabilmente origine dalla passione del padre, segretario comunale, per la carta stampata. Si era alimentato dei successi del fratello Cesare, giovane e valido giornalista del Corriere, prematuramente scomparso. Si era rafforzato coi primi piccoli traguardi. La visita a Il Giornale d’Italia «quando in tipografia composero il mio nome e cognome, quel rigo di piombo mi sembrò il sigillo di una comunità misteriosa e potente». Le corrispondenze inviate ai giornali napoletani, incoraggiate dal suo primo maestro Nicola Ingenito, ricevitore del Lotto. Il rapporto col Roma, grazie all’aiuto di Domenico Scannapieco, inviato di quel giornale, e infine Milano, l’amore per una città generosa, disponibile, «un po’ Napoli e un po’ New York». L’amicizia con gli intellettuali, l’amore e l’ammirazione per il fratello che lo faceva allenare sui ritagli dei giornali al mestiere di capo-redattore, la chiamata al Corriere. «Lei è bravo a confezionare il giornale », gli disse il direttore Aldo Borelli, «quindi non scriverà». Afeltra non rimpianse mai di aver rinunciato ai viaggi, alla firma, al gusto dell’inchiesta, insomma all’aspetto più scintillante della professione. Non ebbe mai rammarichi perché, come spesso dichiarava, le avventure in presa diretta cui rinunciava le riviveva dentro di sé, con la sua immaginazione. Creare ogni giorno un giornale, selezionare le notizie, stabilire le priorità dei servizi, mobilitare gli inviati, costruire le pagine, titolarle, cambiarle talvolta all’ultimo momento: tutto ciò lo entusiasmava, lo rendeva felice. Afeltra conobbe molti direttori del Corriere, e da tutti imparò sempre qualcosa. Di Borelli ricordava la grande umanità. Lo aveva scelto tra una rosa di tre aspiranti perché gli piaceva il suo modo di impaginare. Ettore Janni e Guglielmo Emanuel gli instillarono più tardi l’orgoglio per la grande tradizione del Corriere. Da Mario Borsa imparò il distacco, il rigore. Da Missiroli la difficile arte di dirigere una istituzione potente e nello stesso tempo delicata come il Corriere. Ma il collega cui Afeltra si sentì più legato e che non diresse mai il quotidiano di via Solferino fu Dino Buzzati. Afeltra fu un titolatore di bravura e di inventiva leggendarie e forse ci vorrebbero centinaia di pagine per ricordare le trovate di cui è stato autore. Era il 3 giugno 1946. Il giorno prima c’era stato il referendum istituzionale. La sconfitta della monarchia era nell’aria. Lo si capiva dall’afflusso dei primi dati, dall’atteggiamento dell’uomo della strada. Afeltra cercava nella sua mente un titolo che potesse sintetizzare quell’atmosfera: impresa non facile. La folgorazione gli venne mentre si radeva a casa sua. Si precipitò in tipografia e dettò: «È già Repubblica». Le agenzie internazionali ripresero e rilanciarono il suo titolo, come se la notizia fosse stata ufficiale, ma i risultati ufficiali furono resi noti solo dieci giorni dopo. Insomma, fu un titolo che anticipò la storia. Nel 1955 Afeltra dirigeva il Corriere d’Informazione, una sorta di edizione pomeridiana del Corriere. In quegli anni era un giornale di successo per il quale aveva inventato varie rubriche. Ogni giorno, all’alba, svegliava i corrispondenti delle capitali estere e chiedeva loro una sorta di agenda di poche righe: temperatura, titoli dei maggiori quotidiani, valori della Borsa e i principali avvenimenti della giornata, comprese le “prime” dei film, le novità in libreria e gli avvenimenti sportivi. In questo modo Afeltra portava il mondo in casa dei suoi lettori. Quel giorno era sabato. Alle 16 il giornale era praticamente chiuso: in prima pagina c’era soltanto una piccola “finestra” pronta ad accogliere i numeri del Lotto. Pochi minuti prima dell’estrazione, un redattore arrivò trafelato in tipografia. Aveva in mano un flash d’agenzia che annunciava la morte di Alexander Fleming, lo scopritore della penicillina, uno dei benefattori dell’umanità. Il redattore propose di dare una breve notizia, per poi tornarci più ampiamente nelle successive edizioni. Afeltra non era d’accordo. Quella era una notizia che andava “sparata” in prima pagina, a caratteri cubitali. Per fortuna il giornale era ancora aperto, ma c’erano solo pochi minuti per rifare la prima pagina. Innanzitutto Afeltra chiamò al telefono Orio Vergani, lo mise al corrente della notizia e gli chiese uno dei suoi commenti. Avrebbe dovuto essere veloce come un Afeltra, presa diretta della storia in “corpo 8”. Chiamato al Corriere della Sera nel 1942 fu prima redattore capo e poi vice direttore. Diresse Il Giorno dal 1971 al 1980.

La Città di Salerno

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