D’AMATO E DI MATTEO SONO I NUOVI CONSIGLIERI DEL CSM foto

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    ROMA – FONTI AGENZIA ANSA E REPUBBLICA  

    D’Amato e Di Matteo sono i nuovi consiglieri del Csm Nomi di grande garanzia

    Alle elezioni suppletive dopo le dimissioni

    per lo scandalo delle procure.

    D’Amato, che è procuratore aggiunto a Santa Maria Capua Vetere, ha ottenuto 1460 voti.

    Sono stati invece 1184 i voti di Di Matteo, candidato da Autonomia e Indipendenza, e in servizio alla Direzione nazionale antimafia, dopo una lunga esperienza alla procura di Palermo.

    Con l’approdo del pm Nino Di Matteo cambiano i rapporti di forza tra le correnti al Csm. E il primo gruppo diventa Autonomia e Indipendenza, la corrente nata da una scissione di Magistratura Indipendente. L’anno scorso al suo esordio al Csm poteva contare su due soli consiglieri, Piercamillo Davigo (eletto con un bagno di voti, oltre 2500 preferenze) e Sebastiano Ardita. Poi tutto è cambiato con il “caso Palamara” che si è trascinato dietro le dimissioni di cinque consiglieri , tre di Magistratura Indipendente e due di Unicost. Sono così subentrati come primi dei non eletti, due giudici di A&I, Ilaria Pepe e Giuseppe Marra. E ora la vittoria di Di Matteo porta a cinque il numero dei componenti del gruppo, facendone il più numeroso. Lo segue, con quattro consiglieri, il gruppo delle toghe progressiste, Area. Magistratura Indipendente- il cui candidato in questa elezione, Francesco D’Amato, è stato il magistrato più votato- risale a tre consiglieri, ma un anno fa ne aveva cinque. Come Unicost, che resta inchiodata a 3 consiglieri. A dicembre si tornerà al voto per sostituire l’ultimo dei togati dimessi.

     Nino Di Matteo secondo. Antonio D’Amato primo. Il pm antimafia di Palermo, noto per il processo sulla trattativa tra lo Stato e la mafia, contro il procuratore aggiunto di Santa Maria Capua Vetere Antonio D’Amato, pm a Palmi vent’anni fa con Agostino Cordova e poi con lui a Napoli. L’area di Piercamillo Davigo, con cui Di Matteo è in stretta sintonia, arriva seconda rispetto alla destra di Magistratura indipendente. Elezioni a sorpresa dunque per il Csm. In lizza 18 pubblici ministeri per sostituire i due dimissionari per via del caso Palamara e dell’inchiesta di Perugia per corruzione. Hanno votato 6.799 i votanti su oltre 9mila magistrati aventi diritto. Il terzo pm che ha ottenuto più voti è il napoletano Francesco De Falco, protagonista dell’indagine sulla paranza dei bambini. Primo D’Amato con 1.460 voti, seguito da Di Matteo con 1.184, quindi De Falco con 950. Seguono il pm di Napoli Fabrizio Vanorio con 615 voti, Anna Canepa, della procura nazionale antimafia, con 584, a seguire il procuratore aggiunto di Milano Tiziana Siciliano.

    Politicamente vince Magistratura indipendente con D’Amato che ha fatto tutta la campagna elettorale all’insegna della battuta “io non sono il candidato di Cosimo Maria Ferri”, l’ex leader di Mi, divenuto deputato Pd in quota Renzi, e ora passato con lui in Italia viva. Su D’Amato si sono riversati anche i voti di Unicost, la corrente centrista di Palamara, uscita provata dall’inchiesta di Perugia. Di Matteo non sfonda come si sarebbe potuto immaginare. Ma con lui la corrente di Davigo – Autonomia e indipendenza, nata proprio da una scissione con Mi in chiave anti Ferri – arriva a contare 5 consiglieri togati su 16, con una notevole forza d’urto nelle dinamiche interne, anche in vista di importanti nomine, come quelle del procuratore generale della Cassazione e del capo della procura di Roma. Nonché di quelle di Torino e della stessa Perugia. Buono il risultato complessivo di Area, il gruppo di sinistra, né ha presentato molti candidati, come Canepa e Vanorio, disperdendo i voti.

    Ma il voto di domenica e lunedì mette in rilievo anche la sfida, tutta campana, tra D’Amato, De Falco, Vanorio e Milita. Originario di Torre del Greco, D’Amato muove i primi passi in toga come pm a Palmi, dove trova come procuratore Agostino Cordova. Quando il magistrato calabrese viene nominato a capo della Procura di Napoli, D’Amato lo segue poco dopo. Sono gli anni di Tangentopoli e il pm entra a far parte del pool che si occupa di uno dei filoni più importanti della Mani pulite napoletana, quello sulle tangenti nel settore della sanità che coinvolge fra gli altri anche l’ex direttore generale del ministero Duilio Poggiolini. Da sempre esponente della corrente di Magistratura indipendente, D’Amato appartiene però all’ala del gruppo che da tempo si è allontanata dal potentissimo Cosimo Ferri, che in questa elezione “suppletiva” sosteneva almeno inizialmente un altro candidato. In questo anni, D’Amato ha avuto esperienze al mistero della Giustizia, al Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria e come pm anticamorra, prima di essere nominato procuratore aggiunto a Santa Maria Capua Vetere.
    Con il risultato a sorpresa di queste elezioni, si aggiudica il “derby” con l’altro procuratore aggiunto samaritano, Alessandro Milita, già pm del processo sulle presunte collusioni con il clan dei Casalesi dell’ex sottosegretario Nicola Cosentino, che si era candidato come indipendente.

    Ha sfiorato l’elezione invece un altro pm napoletano, Francesco De Falco, superato di misura da Di Matteo. Vicino a Unicost, con la quale era stato in passato anche componente del consiglio giudiziario, De Falco è da tempo uno dei magistrati in prima linea sul fronte dell’anticamorra. Assieme al pm Henry John Woodcock, si è occupato delle indagini e dei processi sulla “paranza dei bambini”, il gruppo di giovanissimi boss che terrorizzava il centro di Napoli. E portano la sua firma anche le inchieste sulle ramificazioni del clan dei quartieri Rione Traiano e Pianura, oggi leader nel mercato dello spaccio di stupefacenti. Non ce l’ha fatta un altro pm di punta dell’anticamorra, Fabrizio Vanorio, già pm a Palermo, dove è stato anche presidente della giunta Anm, che indaga sul clan dei Casalesi e, con il pm Woodcock, ha sostenuto l’accusa nel processo sulla compravendita di senatori concluso con la prescrizione del reato per l’ex premier Silvio Berlusconi. Esponente di spicco di Md, ha pagato probabilmente la presenza contemporanea di più candidati della corrente.

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