L’ alba dell’ Orchestra Filarmonica Salernitana

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Nella notte di San Lorenzo la formazione del teatro Verdi ritornerà sul belvedere di Ravello diretta dal trombonista Lorenzo Passerini per l’evento clou del cartellone

Di OLGA CHIEFFI

Una notte tra scie luminose, in attesa di un’alba sul mare quella che dal 10 agosto ci porterà all’alba dell’11, sul belvedere di Villa Rufolo, in compagnia dell’Orchestra Filarmonica “G.Verdi”, di stanza al massimo salernitano, che Antonio Marzullo ha inteso affidare al suo collega trombonista Lorenzo Passerini. E’ l’evento clou del cartellone del LXVII Ravello Festival, quello dell’incanto, dell’amore e della speranza, che il pubblico internazionale apprezza in particolare per l’atmosfera e la visione di un panorama unico. La bacchetta di Lorenzo Passerini darà l’attacco alle ore 5, sulle note del III atto di Tosca. “Tosca è nella mirabile evocazione di tutta la parte che concerne la città, in cui la vicenda si svolge e la partitura ne confeziona quadri eloquentissimi”. Ricordiamo l’evocazione delle campane di Roma “quel tono squarciato, indistinto, confuso, inafferrabile del campanone di San Pietro risponde ad un mi naturale”. In origine, dalle indicazioni di lavoro per il libretto, la didascalia all’inizio dell’atto era più lunga e dettagliata dell’attuale – il cui unico riferimento va alle “campanelle” del gregge guidato dal Pastorello – e comprendeva le campane di diverse chiese di Roma: “Tutto, intorno a S. Pietro e a Castel Sant’Angelo, è immerso in una nebbia plumbea. Lontanissimo, nell’estremo fondo, da San Pietro Montorio viene fioco fioco il suono di campana che chiama a mattutino; subito, dopo breve intervallo, vi risponde la piccola campana del convento di Sant’Onofrio, nel medio fondo, a destra; poi, più accelerate, echeggiano quelle lontanissime, a sinistra, di San Giovanni in Laterano, di San Pietro in Vincoli, di Santa Maria Maggiore; poi, sola ancor, e più accelerata, la campana della Chiesa de’ Miracoli, vicinissima, a sinistra, batte mattutino. Riecheggia dal Casermone di Aracoeli la diana delle trombe; risponde da Castel Sant’Angelo uno squillo isolato”. Così scriveva Giacomo Puccini ai librettisti e Lorenzo Passerini ha promesso di farcele sentire bene tutte, per evocare quella Roma tra fede e potere, il tutto elevatesi a monumento sepolcrale, sotto un cielo stellato.  E’ cara a Paolo Pinamonti la suite dal balletto Pulcinella, che Igor Stravinskij trasse nel 1922. Otto numeri in cui le voci sono sostituite dagli strumenti, in una singolare rivisitazione del Settecento napoletano, in cui si circoscrive un mondo sonoro ed espressivo a sé stante, ben al di là dei riferimenti a forme volutamente classiche (dalla Ouverture alla Serenata, alla Tarantella, dalla Toccata alla Gavotta con variazioni, al Minuetto che precede il gran finale), coniuganti un lucido virtuosismo a un gusto dello spiazzamento e della sorpresa, dalla funzione straniante, grottesca e caricaturale della strumentazione, come l’uso sfrontato del trombone nel Vivo, alla solare immedesimazione nell’estrosa vitalità dei ritmi e nelle figure di un paesaggio dai colori accesi, ma dai particolari cubisti. Finale con il sole e la Quinta Sinfonia di Beethoven: l’idea tragica complessiva prende una forma talmente concisa in una inconsueta tenebrosità rischiarata soltanto per qualche istante dalla melodia con la forza, altrettanto grande, di dominare l’oscurità, fino al momento dello squarcio finale.

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