LAVORO TRA SOGNO E REALTA’ A SORRENTO

Riceviamo e pubblichiamo questo scritto di Nicola Esposito

Anni Settanta. L’esigenza di evitare l’oblio di una generazione di giovani sorrentini, fortemente speranzosi sul futuro del paese, mi spinge a mettere nero su bianco i miei ricordi.

Come tanti ragazzi dell’epoca eravamo in cerca di una dimensione adolescenziale, ma soprattutto di un lavoro. In una realtà come Sorrento e la costiera, dove anche una pizza spesso può diventare un problema, quando dipendi completamente dalla famiglia, cercare un lavoro, degli extra, dei lavoretti in ristoranti, bar, hotel, non era difficile. Anche se sostanzialmente questo ti toglieva la bellezza è l’attesa per l’estate, dopo un anno di scuola, per inchiodarti a quel lavoro tanto agognato, ma anche odiato, perché ti violava le vacanze e la sua annuale frenetica e meritata attesa.

Io con pochi altri, eravamo impegnati politicamente e il mio obiettivo era quello di poter “incidere”, anche con delle piccole novità, che in questa zona diventavano di fatto delle mini rivoluzioni. Tra queste, pensavo, che attraverso l’ente pubblico si potesse fare realmente qualcosa di nuovo…incidere, come si diceva, cambiare le cose dall’interno delle istituzioni.

Provare a cambiare.

Erano gli anni Settanta, anni difficili caratterizzati dagli anni di piombo, da forti fermenti giovanili e dal cosiddetto compromesso storico. Anche qui, nella ricca e sonnolenta realtà sorrentina -da sempre amministrata dalla destra, da Achille Lauro alla Democrazia Cristiana-, si muovevano i primi vagiti di un’apertura a sinistra, con una nuova disponibilità e attenzione ai giovani visti come risorsa e non solo come polli da batteria per il proprio circuito produttivo del terziario sorrentino.

Tra i più attenti e aperti al nuovo Ennio Barbato, avvocato -e poi per un periodo anche sindaco di Sorrento- e il professor Antonino Fiorentino, per molti lustri assessore ai beni culturali e alle politiche giovanili. Ci conoscevamo, e quando poteva mi faceva lavorare per quella che fu la sua “creatura”, il Cmea, il Centro Meridionale di Educazione Ambientale. E conosceva la mia attitudine e la passione per i temi sociali.

Fu lui, da sempre con lo sguardo aperto sul futuro e sulle possibilità dei giovani, il mio uovo di Colombo. Lui, in una delle sue prime esperienze assessoriali, mi invitò a scrivere -ero il giovane dirigente del PCI locale-, una proposta di progetto per i beni culturali come risorsa per la qualificazione del turismo, che avrebbe potuto occupare una sessantina di giovani a Sorrento grazie alla Legge per l’occupazione giovanile denominata 285/77. L’allora sindaco Nino Cuomo, anche grazie ai buoni uffici di Fiorentino a Roma, acconsenti all’operazione e quasi senza una completa consapevolezza, si ritrovò approvato il progetto nazionale e 48 nuovi giovani al Comune dal 7 maggio 1979.

Un fatto importante, nel suo specifico storico, anche perché tra le mali lingue si sussurrava che tutti erano stati assunti tramite il Collocamento scorrendo la graduatoria, senza grandi inciuci e raccomandazioni.

Un sogno si stava realizzando, l’entusiasmo e la soddisfazione alle stelle, con l’obiettivo di poter lavorare al comune senza raccomandazioni e aspirare a contribuire al meglio per la nostra città e per i suoi cittadini, da una sponda nuova e sicuramente rivoluzionaria per la città.

Eravamo i primi giovani assunti nei beni culturali nell’intera provincia di Napoli, ma la cosa non fu mai facile e priva di intoppi. Tra sogno e realtà ci ritrovammo in tanti, con la voglia di fare e di cambiare il mondo, il nostro mondo!

Non ci conoscevamo tutti, alcuni di vista, altri un po’ di più, ma in molti con le idee chiare e tanta voglia di far bene. Filippo, Antonino ‘o sindacalista, Lino, Ninotto, Gigetto, Tonino avvocato, Vincenzo, io e pochi altri, lo zoccolo duro che trascinò il gruppo nel bene e nel male, ma sempre con tanta voglia di fare.

Era un lavoro a progetto, annuale, con tanto di formazione professionale con i fiocchi, con diversi professori universitari ad illuminarci sui beni culturali e artistici della città, e il potenziale enorme di fondere tutto questo sapere con l’economia cittadina, il suo asse portante, il turismo. Ma con il cruccio che da un mese all’altro questo sogno si sarebbe potuto interrompere di botto.

All’epoca i primi stipendi sfioravano le 400 Mila Lire che a 20/25 anni erano un bel risultato. Tanti per molti di noi che iniziavano a sentirsi grandi, adulti, e con il problema che tutto questo sarebbe potuto svanire in pochi mesi.

Tutti insieme, e la sponda del sindacato, di cui facevamo parte e vario titolo, abbiamo provato a costruire un percorso diverso, più qualificante e soprattutto più significativo per lo stesso ente che avuto la inattesa manna da Roma, puntava più a farci fare lavoretti spicci e spesso dequalificanti, che spremerci al meglio delle nostre diverse specificità e capacità umane e creative, per qualcosa di nuovo e importante per noi e per Sorrento.

“Meglio una cinquantina di operai che altre professionalità che potevano sembrare scomode o non necessarie”, il pensiero prevalente tra quelli che contavano.

Così tra lotte, proteste, finanche l’occupazione del municipio, -non senza dimenticare dell’ostracismo degli stessi dipendenti comunali storici-, e delibere riproposte periodicamente al ministero del lavoro, per farci rinnovare il progetto, si è andati avanti per diversi anni.

Avevamo comunque catalizzato l’attenzione dell’opinione pubblica e dei giornali dell’epoca, tra cui il Mattino, Paese Sera, il Manifesto, che comunque s’interrogavano sulla combattività e la voglia di noi giovani per un lavoro qualificato a Sorrento, umanamente interessante, più che un semplice lavoro assistenziale lasciando passare i giorni e le ore nella sola attesa dello stipendio. Ma è il terremoto in qualche modo la chiave di volta della nostra storia lavorativa, quando superato il primo shock della tragedia, qui solo sfiorata, in molti tra i politici dell’epoca si resero conto che questo manipolo di giovani poteva dare di più e meglio di una “pittatina” ai lampioni di Marina Grande o della pulizia di Regina Giovanna.

Tutto il resto è un percorso poco significativo di un lavoro troppo spesso di routin e con la disgregazione del “gruppo” dei “giovani della 285” -così ci chiamavano-, e la corsa di molti di noi ad entrare negli uffici classici dell’organizzazione comunale, a discapito di un progetto illuminato fatto di novità e innovazione, lanciato con politici di altre stagioni e di altre visioni, che negli anni sono andati progressivamente a mancare.

Nicola Esposito, NINO

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