Vico Equense, addio all’ex questore Matteo Cinque: lottò contro la camorra negli anni 80

Si è spento oggi all’età di 74 anni Matteo Cinque, ex questore di Palermo, nonché dirigente della Polizia di Stato e responsabile di vari reparti in tante città italiane. Cinque è morto a Vico Equense, lasciando la moglie Timotea e due figli.

E’ stato dirigente della squadra Mobile di Napoli in anni difficili, quelli a cavallo tra gli anni 80 e 90. Ricoprì anche il ruolo di dirigente Criminalpol e di questore a Salerno, Trapani e Palermo. Uno degli episodi che più lo rappresentano è sicuramente il blitz nell’ospedale Ascalesi per bloccare alcuni esponenti del clan Giuliano i quali volevano prelevare il corpo di un boss da poco ucciso.

Una vita per la Polizia di Stato, la sua, scandita da soddisfazioni professionali ma contrassegnata anche da momenti difficili e amarissimi. Sposato, padre di due figli, Cinque era entrato giovanissimo, dopo aver conseguito la laurea in Giurisprudenza alla Federico II, nell’amministrazione della Polizia di Stato.
Nella sua lunga esperienza di funzionario e dirigente Matteo Cinque ha ricoperto molti e delicati incarichi: capo della Squadra mobile di Napoli e della Criminalpol campana; poi questore a Trapani, Palermo e a Salerno. Negli anni tempestosi della prima Tangentopoli napoletana venne travolto dall’ondata di dichiarazioni di alcuni pentiti. Subì la gogna delle manette: il giudice per le indagini preliminari di Napoli, su richiesta del pool di pubblici ministeri titolari della maxi-inchiesta denominata «Maglio» (la stessa nella quale era coinvolto l’ex ministro Antonio Gava) firmò il suo ordine di arresto con accuse gravi: favoreggiamento, abuso e falso. E da quel giorno per lui iniziò un calvario durato oltre due anni, fino a quando – ormai riabilitato con sentenza definitiva della Cassazione – gli venne anche riconosciuta l’indennità (quantificata in 155mila euro) per ingiusta detenzione. Furono 45 i giorni trascorsi nel carcere di Santa Maria Capua Vetere dal dirigente del ministero. Uscito a testa alta dai procedimenti giudiziari, Cinque venne reintegrato nel rango di primo dirigente superiore e concluse la propria carriera – da questore – a Catanzaro.
Come quelli di molti altri personaggi in vista dell’epoca, il nome di Matteo Cinque finì le fango lanciato dal ventilatore della macchina di alcuni inattendibili collaboratori di giustizia. Un fatto resta certo: prima che arrivasse una pronuncia definitiva che lo scagionava dalle pesanti accuse rivoltegli, nell’ideale collettivo Cinque finì col trasformarsi da poliziotto modello a amico dei boss. Lui, che era stato spedito – nel luglio 1992, in piena emergenza – a Palermo, proprio all’indomani della strage di via D’Amelio. Tempi terribili, contrassegnati da un’offensiva senza precedenti dello Stato contro Cosa Nostra. Giunto nel capoluogo campano, ci pensò il pentito Pasquale Galasso a metterlo nei guai. Sostenendo che il numero uno di via Medina avrebbe «favorito la camorra di Carmine Alfieri». Nello stesso giorno in cui venne a sapere di essere iscritto nel registro degli indagati, non ci pensò su due volte. E rimise l’incarico di questore. Uomo deciso e dai modi che apparivano anche forse un po’ troppo diretti, ottimo organizzatore, dopo una lunga gavetta scandita da incarichi direttivi in molti commissariati della provincia di Napoli Matteo Cinque inanellò una serie di risultati investigativi: memorabile resta l’intervento che lo vide – praticamente da solo – intervenire all’ospedale Ascalesi, assediato da una folla di parenti e affiliati che pretendevano la restituzione della salma del ragazzo morto per overdose di eroina. Dal 1989 al 1991 Cinque diresse la Criminalpol Campania e Molise. Un’esperienza conclusa con risultati investigativi importanti: dalla cattura dei fratelli Luigi ed Angelo Moccia, pericolosi camorristi di Afragola, all’arresto di Mario Iovine e di Francesco Schiavone «Sandokan», a Casal di Principe. I funerali si svolgeranno nella sua Vico Equense alle 11, presso la Chiesa di San Ciro.

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