Zapata ex Napoli spero di far vincere l’Atalanta

Un gol di Zapata con la maglia del Napoli, nella Champions 2013 Ansa
Atalanta-Napoli per Duvan Zapata non può essere una partita come le altre e lui non prova neppure a fingere. Perché a Napoli e al club azzurro l’attaccante colombiano di Gasperini rimarrà sempre legato dopo i due anni trascorsi all’ombra del Vesuvio. Lo abbiamo incontrato al centro d’allenamento di Zingonia e, già in tenuta da gioco, con i muscoli scolpiti e il fisico imponente, ci ha parlato dell’avventura alla corte di De Laurentiis, della sua vita prima dello sbarco in Serie A e della sua famiglia, senza nascondere le emozioni. «Se sono arrivato a questo livello – ha detto – è perché mia mamma Elfa dal cielo mi ha spinto. Da piccolo, nel quartiere popolare dove sono cresciuto, giocavo per strada e tutti dicevano a mio padre Oliver che ero forte. Lui era prudente sul fatto che sarei diventato un calciatore professionista, mentre mamma era convinta che ce l’avrei fatta. E’ stata lei che mi ha spinto a sostenere un provino per l’America Cali dove giocava uno dei miei cugini: mi presero subito, ma mi hanno tesserato solo l’anno dopo, quando mi sono trasferito a Cali, perché non potevo mollare la scuola. Forse non è un caso che la mia carriera sia esplosa nel 2010, quando a vent’anni ho perso mia madre: prima sono andato in Argentina e poi è arrivato il Napoli. E’ lei che da lassù mi aiuta». 
Dal 2013 al 2015 ha vissuto 2 stagioni in maglia azzurra. Si emozionerà lunedì?
«Ormai non più. Mi è già capitato di affrontarlo con l’Udinese e la Samp, ma il Napoli rimarrà sempre una squadra importante per me, quella che mi ha dato la possibilità di venire in Italia. Proverò un eterno affetto per quella maglia e per Napoli: lì è nato mio figlio e ho vissuto due anni bellissimi».

Che cartolina si porta nel cuore della città?
«E’ un posto fantastico e la mia famiglia e io ci siamo innamorati. Per un sudamericano alla prima esperienza in Europa è una fortuna vivere a Napoli. La gente mi fermava per strada e mi chiedeva autografi, ma io c’ero abituato dopo gli anni in Argentina. E’ stato tutto bellissimo».

Da calciatore che bilancio fa di quelle due annate?
«Positivo perché sono cresciuto e ho imparato tante cose: venivo da un altro calcio e sono sbarcato subito in una squadra top. E’ vero, ho giocato poco, ma ho mostrato le mie qualità e le mie potenzialità».

Se ripensa a quelle due stagioni ha dei rammarichi o pensa che qualcosa sarebbe potuta andare diversamente?
«Mi sarebbe piaciuto essere più protagonista, ma mi aspettavo che non avrei potuto giocare molto perché ero alla prima esperienza in Italia e davanti a me c’erano calciatori di un altro livello dai quali potevo imparare molto».

Per esempio Higuain…
«Lui in allenamento è uno spettacolo perché non dà mai niente per scontato e quando è davanti alla porta vuole segnare sempre. Durante la settimana lavora come se fosse in partita e, se non riesce a metterla dentro anche in una semplice esercitazione, si arrabbia. E’ questo lo spirito che hanno i campioni». 

Com’è stato il rapporto con Rafa Benitez?
«E’ un grande allenatore che mi ha dato la possibilità di giocare in Serie A. Grazie a lui ho imparato tanto e ho sviluppato le mie qualità».

Con Sarri ha lavorato poco.
«Quando è arrivato al Napoli, nel 2015, me ne sono andato dopo soli nove giorni. Nel 2017 invece sono rimasto due mesi per il ritiro precampionato prima di trasferirmi alla Sampdoria».

Nell’estate 2017 era reduce da 18 reti in 2 stagioni con l’Udinese. Si aspettava un po’ più di considerazione in quel momento?
«Avevo fatto vedere che in un campionato difficile come la Serie A potevo far emergere le mie qualità, ma quando sono tornato al Napoli non hanno dato il giusto valore al rendimento che avevo avuto. Purtroppo in attacco c’erano Mertens, Pavoletti e Milik e lo spazio per me era zero».

Adesso sulla panchina azzurra siede Ancelotti.
«Il suo arrivo ha ulteriormente alzato il livello di una squadra che ha una base di calciatori davvero forte. Ci aspetta una partita difficile, ma ce la possiamo fare perché abbiamo il vantaggio di giocare davanti ai nostri tifosi. Puntiamo a ottenere un buon risultato».

Chi vincerà?
«Bella domanda… L’atmosfera sarà molto calda e mi aspetto un match intenso nel quale chi starà meglio si prenderà i tre punti. Non credo né che il risultato sia scontato per loro né che per noi sarà più facile perché il Napoli sarà stanco avendo giocato in Champions: gli anni passati andavano sempre in campo gli stessi, mentre ora Ancelotti ruota gli uomini per avere tutti freschi e puntare a vincere il campionato e la Champions».

Portar via lo scudetto alla Juventus però sarà complicato.

«E’ ancora più forte dell’anno scorso, ma non è imbattibile. Il problema del Napoli è che, per far meglio rispetto al passato, può solo vincere il campionato».

Chi toglierebbe ad Ancelotti?
«Ha tutti giocatori forti e, per essere un po’ più tranquillo, ne dovrei indicare cinque o sei (ride, ndr), iniziando da Koulibaly, un difensore che devi superare tre volte prima di averlo saltato davvero».

Da avversario ha affrontato il Napoli in cinque occasioni e non ha mai segnato. E’ arrivato il momento giusto?
«Nel calcio c’è sempre la prima volta. Speriamo…».

Se come probabile l’Atalanta riscatterà il suo cartellino, diventerà il giocatore più pagato della storia del club. Per lei è un orgoglio o un peso?
«Un grande orgoglio. Sarebbe la seconda volta che questa cosa succede perché sono stato il più pagato anche della storia della Sampdoria. Io però non devo pensare alla mia valutazione, ma a continuare a crescere calcisticamente. Il presidente Percassi e suo figlio Luca hanno fatto uno sforzo grande per me e io devo parlare sul campo».

Come giudica il suo inizio di stagione?
«Mi aspettavo di segnare qualche gol in più, ma le cose non sono andate così male».

La concorrenza di Barrow e degli altri attaccanti è uno stimolo o la condiziona?
«E’ uno stimolo. Là davanti siamo in tanti e il mister sceglie chi sta meglio. A volte sono rimasto in panchina e questo mi ha motivato a impegnarmi ancora di più».

Quanti gol dovrebbe fare a fine stagione per essere contento?
«Gli stessi o di più rispetto a quelli dello scorso anno (11, ndr)».

Cosa è successo domenica scorsa a Empoli?
«Non saprei. Nel primo tempo avevamo giocato così bene ed eravamo avanti (2-1, ndr), ma poi ci hanno rimontato. Nel calcio, quando non puoi vincere, almeno non devi perdere. Ora però dobbiamo guardare avanti e riscattarci contro il Napoli». 

Napoli, Lazio e Juventus, oltre a Udinese e Genoa: da qui a Santo Stefano il calendario non vi darà tregua.
«Sarà dura, ma ci faremo trovare pronti, poi per Capodanno andò in Colombia dai miei parenti».

Suo cugino Cristian che gioca del Milan lo può salutare più spesso visto che abitate ad appena 60 chilometri di distanza.
«Sembrerà strano, ma ci vediamo di più durante le vacanze in Colombia che in Italia. Ci conosciamo da una vita, ma anche per una questione di età sono più legato alle sue sorelle, che sono mie coetanee, e lui ha più rapporti con mia sorella più grande».

Per lei che ha giocato in Argentina, il caos scatenatosi intorno a Boca-River è una ferita aperta?
«Quello che è successo mi ha fatto passare la voglia di vedere la finale della Libertadores. Non mi aspettavo una cosa del genere e mi è dispiaciuto tanto».

fonte:corrieredellosport

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