Da Mertens a Fabian Ruiz si allunga la lista dei cambi azzurri decisivi nella rincorsa alla Juve

Mertens e Fabian Ruiz (più Koulibaly), dopo il 2-1 sul Genoa: entrambi entrati nella ripresa sono stati decisivi mosca
Alzati! E provvedi! In genere va così, oppure è doveroso pensarlo: e quando a Marassi, dal pantano, s’è illuminata una notte buia e tempestosa, non è stato più né il caso né un intervento divino. Colpo di tacco di Mertens, sinistro squarcia tenebre di Fabian Ruiz e la panchina s’è presa la partita, anzi la scena, e l’ha tenuta tutta per sé. Ci si potrà perdere nelle chiacchiere del bar sport, irritare Ancelotti che l’aveva detto proprio qualche giorno prima («le domande del post-partita che rischiano di farmi scattare l’ignoranza, sono quelle sui cambi»): però è capitato ancora, di nuovo, e certo è capitato ancora, eccome, proprio su quell’asse rimasto a scrutare per quarantacinque minuti nelle ombre del Napoli.

LUCCICHIO. Poi è chiaro che la vicenda, ma si fa per dire, sia complessa e non sarà mai chiaro dove comincino i meriti di un allenatore, capace di guardare lungo, e dove i suoi immancabili demeriti, per aver «sbagliato» la formazione. Sono dettagli, alla fine, perché il calcio resta immutabilmente eguale al passato e rimarrà inchiodato ai propri luoghi comuni: ma la storia, nel suo piccolo, è stata riscritta dalla premiata ditta Mertens-Fabian Ruiz, un ciclone che si è abbattuto sul Genoa ed ha avviato quel processo di sgretolamento che ora arricchisce le statistiche e dà un senso compiuto al turn over a partita in corso.
SCUGNIZZO. Perché le abitudini sono ormai radicate nel tempo, nascono e si sviluppano sin dalla seconda giornata, pure quella pareva una nottata tenebrosa, anzi terrificante, con il Milan scappato via sul 2-0, avvicinato da Zielinski all’ottavo della ripresa e smontato lentamente ma progressivamente dall’avvento di Mertens, entrato al diciottesimo e al trentacinquesimo già smorfioso, dinnanzi alla telecamera, per celebrarsi con il gol del sorpasso. E’ una mossa (si dirà strategica) a cui Ancelotti ha fatto ricorso volentieri, andando a leggere tra partite sporche o anche normali, persino pulite: con il Sassuolo, quando il Napoli era già sull’1-0, infilò Insigne e la chiuse, evitando eventuali stati d’ansia e a Udine, vabbè, lì ci misero qualcosa gli dei, «eliminando» il povero Verdi al primo scatto, si era al secondo minuto, spingendo il sopracciglio sinistro del «mago» a inarcarsi un istante, magari avrebbe volentieri imprecato, e costringendolo a spingere Fabian Ruiz in campo. Ci vollero appena dodici minuti per godersi il destro a giro dello spagnolo e lasciar scoprire al Napoli che in fin dei conti era andata bene anche cosi. Quando invece, alla Dacia Arena, Rog si tolse la tuta da dosso, certo non gli passò per la testa che in un battito di ciglia avrebbe stabilito un primato: quaranta secondi e via, di corsa, braccia al cielo, nell’incredulità generale, compresa la sua, per segnare il 3-0 e ricordarsene.

INVOCAZIONE. Ma l’impresa, quasi clamorosa, una beffa per la Roma, il delirio per il Napoli, è del 28 ottobre scorso, in un «derby» apparso maledetto ad Ancelotti, che quando ha contato le conclusioni (ventisette) si è messo le mani nei capelli: ci volle Mertens, eh già, per afferrare il pareggio all’ultimo respiro, si stava alzando la lavagnetta del recupero, e consentirgli di avanzare una legittima pretesa. «A me piacerebbe giocare sempre dall’inizio». Mai più panchina, da quella sera, e la «tortura» gli è toccata a Genova, guarda un po’ una settimana dopo che Milik, l’alter-ego, l’aveva emulato con l’Empoli, marchiato a fuoco anche dal polacco, che in sette minuti offrì il proprio contributo con una girata, proprio su assist del belga. Che però le cose le guarnisce bene, perché per mandare in porta Fabian Ruiz ha scelto una pennellata d’autore: un tacco e via….S’era appena alzato. Ed ha provveduto. E li chiamano panchinari…

fonte:corrieredellosport

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