La povertà non ci scandalizzi ma ci innamori: siamo noi i pastori del presepe!

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    Ormai siamo assuefatti alle cattive notizie, e, quel che è peggio, siamo diventati così apatici da pensare di non poter cambiare questo stato di cose, ma io credo che non sia così e la convinzione mi è venuta riprendendo il mio presepe da montare. È vero che la centralità di tutto è la capanna ed il miracolo della Natività, ma chi rende il tutto animato, coreografico, piacevole allo sguardo? Senza essere miscredente, chi sono i personaggi del presepio? “I Pastori”. Sì, proprio loro. Il dormiente, lo stralunato, la pastorella, lo zampognaro, il suonatore di flauto, il portatore d’acqua, il bovaro, il mugnaio, tutti coloro che presi singolarmente non son degni di nota per la loro povertà, insieme formano la sinfonia che canta la lode al Bambino. Dopo che gli angeli li avevano avvertiti dell’evento, raccolsero le poche masserizie, spinsero le greggi, per mettersi in cammino verso Betlemme. L’evangelista Luca scrive: «andarono senza indugio» (Lc 2,16). I poveri non hanno nulla che li trattenga. Partono senza guardare indietro (ciò che chiederà il Maestro). Il loro cammino viene guidato da una stella, ma soprattutto il cammino viene orientato dalla fede, i pastori ancora non lo sanno ma sono i primi discepoli del Signore. E lo saranno per la loro fede che si manifesta con pochi verbi. La fede è prima di tutto un “andare verso”, è un “trovare” e un “vedere”. Essi non sono andati alla ricerca di una verità astratta, ma hanno incontrato una Persona, viva. Nell’innocuo, fragile segno di quell’inerme Bambino hanno accolto il Signore della pace. Ma la fede, per essere vera, è ancora un “riferire” l’esperienza vissuta, la gioia dell’incontro. Nel loro cuore c’era l’attesa di un avvenimento che li avrebbe resi ricchi per sempre. Saranno i primi a testimoniare il vangelo sconvolgente di un Dio fattosi uomo (precursori di Maria di Magdala e dei discepoli di Emmaus). Il dinamismo del credere comporta un’andata e un ritorno; senza il desiderio dell’annuncio la fede resta solo un’esperienza soggettiva. La testimonianza del credente non lascia indifferenti, ma interroga e suscita crisi spesso salutari. Eccoci dunque al nocciolo del mio ragionamento. È vero, la maggior parte di noi non è che un comprimario sulla scena del mondo, attori reclutati per fare le “folla” nel grande kolossal che è la vita, insignificanti pastori che osannano i tanti dèi di turno (che però non vivono in squallide capanne!!!), chini nell’ossequio e nel credere che non possiamo far nulla. Eppure se avessimo prestato più attenzione ai tanti presepi visitati come turisti e non come pellegrini, avremmo notato che in quella grotta, nella genesi della nuova storia, c’era la Pace. «Egli infatti è la nostra pace» scrive Paolo ai cristiani di Efeso (Ef 2,14). Perché la pace è la centralità della grande notizia del Natale. Nel grembo della Vergine Madre siede il «principe della pace» (Is 9,5). Non è ardito, dunque, quasi all’alba di un nuovo anno, restituire ai poveri, a noi, “ai pastori”, l’esaltante missione di “educatori alla pace”. Impresa ardua! Come ogni sfida. Ma la pace, e qui dobbiamo interrogarci tutti, non è solo il silenzio delle armi, questo è una conseguenza. La pace è pienezza di amore, è armonia. È il prisma della vita che si rifrange in molte virtù, come la tolleranza, il rispetto, l’amore per la verità, il dialogo. Educare alla pace significa farsi compagni di viaggio nell’arduo cammino della libertà, la quale permane autentica se amica della verità e dell’amore. Anche oggi, in questo mondo frastornato dal fragore delle armi degli innumerevoli conflitti bellici, come i pastori di Betlemme, la gente guarda nella direzione della pace, tutti la vogliono, sta dentro l’orizzonte di ogni desiderio umano. Ma perché allora non la si raggiunge? Mi perdonino quelli che, a torto a ragione, mi accusano di parlare troppo spesso di religione, ma credo che non si raggiunge la pace perché molti hanno smarrito “l’avvenimento”, la sorgente. Ma i pastori no! La grandissima gioia di vivere una vita illuminata dalla stella fa pensare che valga la pena di andare nella direzione giusta: alla volta di Betlemme. La «pace in terra agli uomini che egli ama» ha il volto di tanti uomini e tante donne di buona volontà. Ha il volto del mirante, del povero, del vicino di casa, della suocera “petulante” o della nuora “ingrata”, ha il volto di nostro figlio, di nostra madre, di ognuno che incontriamo sulle strade impolverate del mondo. Non restiamo chiusi nei nostri cenacoli paralizzati dalla paura di non essere in grado di migliorare il mondo, di spazzare via con un tornado tutte le sue brutture, guerre, ingiustizie, carestie. Usciamo incontro ai poveri, ai fratelli “armati” solo della pace che ci infonde il Bambino, quel soffio gentile che accarezza i visi bruciati dall’arsura, da quella sete di Infinito che solo in Lui può trovare PACE. [Aniello Clemente]

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