Giuseppe Liuccio: “Nulla è più prezioso dell’acqua”

“Nulla è più prezioso dell’acqua (ariston men udor) – cantava Pindaro nella prima olimpiade, famoso epinicio in onore di Jerone di Siracusa. E dovettero pensarlo anche i nostri antenati greci, quando, sulle rotte del Mediterraneo, approdarono nella pianura e vi fondarono Poseidonia. Il Sele a nord la divideva dagli Etruschi, che governavano città potenti ed operose, Picentia (Pontecagnano) sui declini dei monti e Marcinna (Vietri) sul mare, e costituiva una naturale barriera contro possibili invasori. Il Solofrone a Sud, il cui corso pacioso, dalla portata limitata, consentiva facili trasmigrazioni/espansioni verso i promontori di Agropoli e Tresino. La cinta dei monti lussureggianti di boschi, alle spalle, era un ostacolo non facilmente sormontabile dalle bellicose popolazioni italiche, prima, e lucane, poi, che cercavano uno sbocco al mare.

Quei fiumi, Sele e Solofrone, hanno acceso la fantasia dei poeti e dei viaggiatori colti, da Virgilio a Gatto e passando per Ungaretti, il primo, di Bernardino Rota, umanista di buon livello, oltre che signore di feudi, il secondo. E sarebbe una bella ricerca, non priva di sorprese, la letterarietà dei due corsi d’acqua, che hanno scandito storia e vita del territorio, raccogliendole alle radici dei monti ed arricchendole nei percorsi zigzaganti di pianura prima di miscelarle nei vortici spumeggianti alle foci.

Ma la pianura era ed è ferita da altri fiumi, brevi di corso e di bacino, ma preziosi per la fecondità dei campi e. oltretutto, carichi di storia in grado di accendere i riflettori sulla sacralità delle nostre origini. CAPODIFIUME, innanzitutto, sgorga alle radici del Calpazio, da cui una Madonna veglia e protegge uomini e campagne, reiterando nella ritualità il culto che fu di Era/Demetra e Persefone, dee di tenebre e luce, di morte e vita e, soprattutto, di fecondità nell’alternarsi delle stagioni. Il SALSO ne arricchisce la portata con quel salto di allegra e vociante libertà, che esplode all’argento della luce dopo un percorso di prigionia nel ventre oscuro e misterioso della terra. E l’acqua fu vita ad alimento di energia per la vecchia centrale idroelettrica e forza motrice per le ruote del mulino.

Oggi, come ieri, attraversa e feconda coltivi in operose contrade (Chiorbo, Cortigliano, Ponte Marmoreo), mormora sotto i ponti di strade e ferrovia. Lambisce, quasi a devota carezza, le antiche mura di Porta Giustizia, devia a gomito a conquista della popolosa Licinella, per poi correre spedito a mare, dopo un assaggio d’ombra nella pineta litoranea. Quel fiume è una straordinaria risorsa di miti, storia e beni ambientali da immettere nei circuiti dei mercati per una promozione del turismo di qualità. Infatti ripercorrere il fiume dalla foce alla sorgente, o viceversa, sarebbe un viaggio ricco di sorprese ad esplorazione di flora e fauna ripariali, a fruizione di campagne con masserie e case sparse, che hanno fatto la storia dell’agricoltura pestana e, quel che più conta, a penetrazione nel cuore antico, palpitante di fascino e di mistero, del territorio.

Per sfruttare al meglio questo patrimonio inestimabile, mi permetto di riproporre quella che nel mio precedente articolo ho chiamata VIA SACRA FLUVIALE, che dovrebbe partire da Paestum all’altezza dell’ex Cirio ed arrivare alla sorgente, in attesa che, in prospettiva, arrivi fino alla foce. Il progetto, come ho accennato nel precedente articolo, potrebbe  e, secondo me, dovrebbe utilizzare al meglio il percorso del fiume.

Vorrei oggi aggiungere una ulteriore nota a margine per una più approfondita e motivata riflessione. Da tempo e da più parti si è lamentata, ed io stesso l’ho fatto, la separatezza tra Paestum e Capaccio/capoluogo, relegando a terra di nessuno e di quasi assoluto anonimato il vasto territorio intermedio, che, invece, ha tutti i titoli per recitare un ruolo importante sul piano delle infrastrutture culturali a coronamento ed esaltazione della Via Sacra Fluviale e dell’eventuale Parco fluviale Sacro che abbia il suo epicentro in Capodifiume appunto.

E mi permetto di suggerire: 1) Museo dell’agricoltura e della zootecnia a Sponacco/Varco Cilentano che fu e, in parte, ancora è luogo di produzione di uno speciale “cultivar” di pera “padona” e di una storica; 2) Le acque della fertilità: museo/biblioteca/videoteca, a Capodifiume/Chiorbo; 3) Il Roseto di Paestum a Ponte Marmoreo; 4) Dalle dee alle madonne: il museo del sacro; 5) La diocesi ritrovata: riproposizione multimediale ragionata del governo dei vescovi; 6) Terra e libertà: ricostruzione nel segno della multimedialità dei più significativi eventi della storia del ribellismo, da Spartaco a Costabile Carducci, passando attraverso la Congiura dei Baroni, possibilmente a Monticello; 7) Museo della memoria, come recupero dei vecchi mestieri e delle tradizioni più significative (sarebbe ideale l’utilizzo del vecchio frantoio a ridosso della Fontana dei Delfini), una sorta di “come eravamo”, ecc. ecc..

Lancio queste mie idee, come proposta di una progettualità di ampio respiro, come recupero ed esaltazione del passato ad apertura di futuro sull’onda di MEMORABILIA (cose e pagine da ricordare) alla latina. Il progetto merita una ulteriore riflessione in questa direzione. In attesa, ho motivo di ritenere che ci sia una vasta opinione pubblica sensibile e motivata a recepirla e farla propria. E non dispero che sia diffusa anche tra gli Amministratori. Io lo credo, voglio crederlo, debbo crederlo. FORTEMENTE. E, come sempre, con fiducia attendo segnali. A FUTURA MEMORIA

 

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