Lettera postuma a Giovanna d’Aragona, duchessa di Amalfi. Una storia di amore e morte

Gentile Duchessa Giovanna,

sentii parlare per la prima volta di te, quando chiesi notizie di quella Torre di forma cilindrica, maestosa nella gloria del sole a fuoriuscita, per miracolo di arditezza di costrutto, dai giardini dei limoneti e che veglia la città dall’alto del Monte Aureo e che gli Amalfitani chiamano dello Ziro a testimonianza dell’influenza, anche sulla lingua, del passaggio degli Arabi sul territorio.E fui attratto e turbato insieme dalla tua coinvolgente storia d’amore e morte.

Eri giovanissima ed assaporavi con stupore i primi fremiti di entusiasmi e passioni di donna, appena uscita dalla verginale pubertà, quando, luminosa di grazia, di bellezza e di sorriso, ammirata ed invidiata dalle ragazze della tua età, andasti sposa ad Alfonso Piccolomini, figlio ed erede del Duca di Amalfi. Non abbiamo notizie particolareggiate dell’evento. Ma per il rango tuo, eri discendente, da parte di padre, del re Ferdinando I, e dello sposo, dovette di sicuro trattarsi di una cerimonia nuziale fastosa  con invitati di  fama e rispetto, per prestigio di censo e di casato, con dame ingioiellate e cavalieri plurititolati.Non sappiamo se il rito fu celebrato nel Duomo della città, Ma se fu così, come tutto lascia supporre, la tua discesa dalla monumentale scalinata fu di certo salutata dalla folla plaudente che, curiosa e felice, assiepava la piazza e che ti accompagnò festante, quasi in un caldo abbraccio corale, al Palazzo Ducale, di cui ancora resta traccia in quella che era e resta, in memoria, Piazza dei Dogi. All’inizio la tua fu una unione felice anche per l’arrivo fin da subito di Caterina ed Alfonso. salutato, quest’ultimo,  dal tuo Augusto Consorte e dal popolo come futuro duca a perpetuare la dinastia di una famiglia, che vantava vasti possedimenti in Toscana ed influenti rappresentanti in potentati italiani ed europei e porpore cardinalizie in Vaticano.

Tutto lasciava prevedere per te e per i due figli  un futuro di felicità nello splendore e nel fasto di un Ducato, erede della prestigiosa storia della Prima Repubblica Marinara.. Ma la malasorte si accanì, fin da subito, su te.Eri appena ventenne ,quando venne a mancare tuo marito, non sappiamo nè dove nè per quale causa.: E ,dovesti dedicarti, impreparata, all’amministrazione del Ducato ed all’educazione dei figli in una corte in cui si privilegiavano gli esercizi cavallereschi e le belle lettere .Fu assegnato al tuo servizio, anche per volontà dei tuoi potenti fratelli, un maggiordomo giovane, avvenente, colto, signorile e garbato nei modi, di origini napoletane e con  buone conoscenze e frequentazioni influenti alla corte del re. Si chiamava  Antonio Bologna. e le sue doti di contagiosa   e  calda simpatia fecero breccia nel tuo cuore di giovane vedova con nell’anima e nei pensieri i desideri di giustificate trasgressioni e con nel corpo  giovane e ancora tutto da esplorare le passioni della carne rese furenti da prolungata e forzata astinenza..La simpatia si trasformò in amore travolgente ed i desideri si realizzarono nella carnalità condivisa di un rapporto prolungato e chiacchierato. nel pettegoliume dei famigli del Palazzo e nel chiacchiericcio morboso dei popolino. .Era inevitabile che accadesse, anche se voi, timorati di Dio e rispettosi delle tradizioni familiari, santificaste il rapporto nella ufficialità del matrimonio, che per ragioni di opportunità teneste segreto. Però ne giunse  voce agli orecchi interessati dei tuoi potenti fratelli, il cardinale Ludovico ed il marchese Carlo. E ne ebbero conferma in una loro visita ad Amalfi.Non trattennero il disappunto che si trasformò presto in ira furibonda e in minacce di punizione e vendetta. Le differenti condizioni sociali dello sposo non consentivano la ufficializzazione dell’unione, come logica, buonsenso, amore fraterno, carità cristiana ed opportune ragioni di stato consigliavano. Fu irremovibile il fratello marchese ma fu ancor più inflessibile il fratello cardinale. Ad Antonio Bologna, che ebbe la sola colpa di invaghirsi di una donna giovane bella ed innamorata a sua volta ma non del suo rango, non restò che fuggire prima ad  Ancona e poi a Milano dove gli spietati tuoi fratelli lo fecero pugnalare da un sicario alla corte dei Visconti. Non andò meglio a te, nonostante che avessi rinunziato al ducato e ti fossi trasferita anche tu ad Ancona, dove, con la testimonianza di una fedele cameriera/dama di corte, confessasti pubblicamente  l’amore per quello che consideravi, e di fatto era, l’uomo della tua vita e dal quale avevi avuto ben tre figli. Rinunziasti alle ricchezze e agli agi del potere, paga e soddisfatta dell’amore per  marito e  figli e decisa a vivere anche nell’anonimato dell’esilio lontano da Amalfi. Ma non era questa la decisione presa dai tuoi fratelli assetati di vendetta per quello che consideravano un “vulnus“, uno sgarro si direbbe oggi,  alla onorabilità del casato. Ti riportarono con forza ad Amalfi e ti fecero rinchiudere con i figli e la fedele cameriera nella Torre che ferisce il cielo sul più alto sperone sul mare. dove fecero eseguire le esecuzioni capitali per tutti: “una crudeltà che viene assimilata ed assorbita dallo spazio solare del paesaggio”. La tua dolente storia di amore e morte ed il sacrificio degli incolpevoli bambini, pensato e fatto eseguire con barbarica spietatetzza  inspiegabile per un  uomo di chiesa come tuo fratello cardinale, commossero l’Italia e l’Europa sull’onda della novella di Matteo Bandello e delle tragedie di letterati del livello dell’inglese John Webster  e dello spagnolo Lope de Vega. E non furono i soli. Forse anche per questo la tua commovente vicenda umana popola ancora oggi l’immaginario collettivo del territorio e c’è chi pensa ancora che, nelle notti di luna piena, quando più struggenti si fanno i desideri degli innamorati e roteano per il cielo in una con la brezza profumata di zagara, iodio e sale i richiami di attesa a ricongiungimenti impossibili di cuori, anime e corpi, ha l’impressione di sentire i tuoi lamenti che cercano il cielo a fuoriuscita di liberazione dal dolore dal carcere nei sotterranei misteriosi di una Torre a volo d’abisso sul mare

.Altre donne amalfitane hanno lasciato un segno nella storia per vicende d’amore come te:Famosa fu e resta Costanza D’Avalos, che si lasciò apprezzare per la sua sensibilità  e che fece del Palazzo Ducale in Piazza dei Dogi un importante centro di cultura letteraria (fu essa stessa poeta). Alla morte del marito, il Duca Alfonso II  si  legò a Carlo V, di cui fu la favorita, e ne ricevette il titolo di principessa. Bellissima e piuttosto spregiudicata fu Lucrezia d’Alagno, della quale s’incapricciò Alfonso V d’Aragona in occasione della festa di San Giovanni, come narra Benedetto Croce. Concesse al re le sue grazie, nonostante l’enorme divario di età tra lei,poco più che ragazza, e l’Augusto Sovrano, già canuto. Ne ottenne in cambio il titolo di contessa e cospicue ricchezze.

Ma c’è una profonda differenza tra te e le altre. Il loro fu un amore “interessato”.Cedettero ai potenti di turno per ricavarne vantaggi in termini di prestigio, agi e potere economico. Tu fosti travolta dall’uragano delle emozioni del cuore e della passionalità del corpo, lasciando, e non cercando, prestigio, agi e potere economico. Lo facesti per amore e solo per amore, quello vero che per tutti ma soprattutto per la donna  (e tu fosti prima donna, e che donna!!! , e poi duchessa) è sempre sentimento che si fa carne, carne che trascende a sentimento, duplicità che smemora docile e, furente, s’acquieta  nell’uno del rapporto psicologico e fisico.

Forse anche questo ogni qualvolta che vengo ad Amalfi l’occhio va istintivamente a quella Torre luminosa nella luce  legata al tuo nome e che ha ispirato anche a me una poesia, che esalta “La donna del Mediterraneo“, di cui tu fosti e resti straordinario esempio. “Sei brezza che carezza le colline./Sei vela bianca a transito di mare./Sei sole caldo che feconda il mondo./Sei madre, sposa, figlia, sei amante./Sei passato,presente, sei futuro./Sei alfa e omega, storia e poesia/donna del Mediterraneo”.

Con ammirazione profonda ed un grazie di cuore per tutte le emozioni che sei riuscita a scatenarmi tuo Giuseppe Liuccio

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