Vesuvio usato come pattumiera: raffica di sequestri. Opifici clandestini, autolavaggi e scarti di pellame e tessili

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Smaltimenti illeciti di rifiuti, scarti della lavorazione tessile, scarichi abusivi di liquami. L’aggressione all’area protetta del Parco Nazionale del Vesuvio continua e si alimenta di numerosi episodi, ma i controlli delle forze dell’ordine si stanno intensificando e stanno portando a risultati di rilievo. L’obiettivo è stanare soprattutto le attività illegali: sono infatti le aziende che non rispettano le regole a produrre inquinamento e danni all’ambiente, mettendo anche in serio pericolo la salute dei cittadini. L’ultimo blitz è stato effettuato dai carabinieri forestali del reparto di San Sebastiano al Vesuvio, che hanno lavorato insieme ai colleghi delle stazioni di Boscoreale, Ottaviano, San Sebastiano al Vesuvio e Torre del Greco. Un’operazione articolata e durata più giorni, nel corso dei quali sono state complessivamente denunciate 21 persone, comminate 12 sanzioni amministrative per un importo complessivo di 30.000 euro e sequestrate 13 attività produttive. Si tratta di quattro opifici tessili, tre autolavaggi, cinque officine meccaniche (autolavaggi e carrozzerie) e un impianto di recupero rifiuti, nonché un’area adibita a discarica e un deposito di rifiuti non autorizzati. Gli opifici tessili, presenti in prevalenza a Boscoreale e Ottaviano, non rispettavano le norme igienico sanitarie e quelle in materia di sicurezza sul lavoro. Inoltre, all’interno dei locali sono stati rinvenuti rifiuti speciali consistenti in scarti di lavorazioni tessili tenuti senza annotazione nei prescritti registri di carico e scarico. Si tratta di uno dei fenomeni più diffusi nell’area vesuviana, dove continuano gli abbandoni di bustoni zeppi di pezzi di stoffa, avanzi del lavoro delle sartorie. Gli imprenditori devono liberarsi dei ritagli di stoffa, gli scarti della lavorazione. Non li smaltiscono secondo le regole perché costerebbe troppo. E allora li affidano a personaggi senza scrupoli, che impongono tariffe e tempi di consegna (per lo più di notte o all’alba, per non essere visti). Poi queste buste zeppe di pezze di stoffa finiscono nella pineta del Parco Vesuvio o anche lungo le aree di sosta dell’Asse mediano, quando l’attività illecita avviene in altre zone della provincia di Napoli. Quasi sempre vengono bruciate. Per rispettare le regole, un imprenditore del tessile dovrebbe spendere almeno 300 euro al mese di smaltimento dei ritagli di stoffa. È necessario, infatti, stipulare un contratto con una ditta specializzata, che si impegna a dotare la fabbrica di un cassone oppure di buste apposite. Periodicamente la ditta viene a ritirare i rifiuti e a smaltirli secondo le prescrizioni della legge. Ci vogliono circa 100 euro alla firma del contatto, un fisso al mese che si aggira intorno ai 150 euro e altri soldi a seconda del quantitativo di immondizia prodotta. La scorciatoia indicata dai faccendieri consente, invece, un risparmio notevole: ogni busta ritirata costa dai 3 ai 5 euro. È possibile, però, anche sottoscrivere una specie di abbonamento: con 10 euro il titolare dell’opificio può consegnare uno stoccaggio notevole di bustoni, a patto che si impegni a farlo per un anno intero. Il ritiro avviene in orari strani: di solito all’alba oppure di notte. I rifiuti vengono caricati dentro furgoni, poi comincia il tour: la pineta del Parco Vesuvio tra Terzigno e Ottaviano (quella andata in fiamme questa estate) è il luogo preferito dai malviventi per abbandonare i rifiuti. Per questo l’attività dei carabinieri forestali è stata quanto mai opportuna: ha consentito di bloccare sul nascere un business che va avanti da anni ed è spesso difficile da stanare. Gli autolavaggi, invece, presenti per lo più a Torre del Greco e San Sebastiano al Vesuvia, operavano gestendo o smaltendo illegalmente i rifiuti speciali, anche pericolosi, derivanti dalle loro particolare attività. I liquami che avanzano dalla loro attività, infatti, devono essere smaltiti secondo precise regole, che tuttavia spesso vengono disattese. Altre violazioni sono state riscontrate anche nei casi delle autofficine meccaniche e delle autocarrozzerie: queste ultime non rispettavano le particolari prescrizioni a riguardo delle emissioni in atmosfera. (Francesco Gravetti – Il Mattino)

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