Positano, parla il padre di Nicola Marra: “Mio figlio non beveva, ma l’ha ucciso l’alcol: fermiamo la strage”. Stasera a Chi l’ha visto

Stasera il padre di Nico, Antonio, a Chi l'ha visto su Rai 3 a 21.15

Quando lunedì hanno trovato il corpo di Nico tra le rocce in fondo a un burrone, suo padre, Antonio, era a Positano da più di ventiquattr’ore. Si era precipitato all’alba di domenica, dopo aver provato inutilmente a contattare suo figlio al cellulare. Lo aveva cercato girando a vuoto, e ora che il vuoto è l’unica cosa che gli riempie la vita, Antonio Marra prova a fermarsi un attimo e a riflettere. Non ne ha avuto ancora il tempo. L’attesa, l’ansia, l’angoscia, e poi il dolore, le lacrime, la disperazione, e ancora il funerale, gli abbracci, le parole sussurrate che lui nemmeno sentiva, le lacrime che a un certo punto finiscono pure quelle e non resta più niente. Tutto è girato vorticosamente nella vita di Antonio Marra, è la sua stessa vita che si è girata e rigirata e alla fine si è fermata sotto sopra, lasciandolo in quella posizione innaturale di padre senza più il figlio che «mi fa morire ogni giorno ma mi fa pure pensare».

Antonio pensa a Nico e anche agli altri ragazzi che, dice, «non sono stati estratti a sorte come è toccato a mio figlio, ma poteva succedere a ognuno di loro». Perché li ha visti, mentre cercava inutilmente Nico in quell’alba del giorno di Pasqua. «Li ho visti accasciati sulle panchine, a terra. Li ho visti sorreggersi l’un l’altro e cadere, li ho visti aggrapparsi, li ho visti vomitare. Non era il ritorno da una discoteca, era una mattanza. Ma che mondo è questo se per passare una serata ci si riduce così?».

Antonio certo conosceva suo figlio, sapeva come era fatto, ma quello che è uscito stravolto dalla discoteca e si è andato a inerpicare nel buio lungo sentieri impossibili da dove poi è precipitato, non era il ragazzo che vedeva ogni giorno a casa. «È questo che mi tormenta. Nico a casa non beveva, Nico studiava, faceva sport, viaggiava, aveva gli amici, la fidanzata. E sicuramente sono così anche quei ragazzi che ho visto mentre lo cercavo. Non sono ragazzi difficili, sono ragazzi normali per sei giorni alla settimana, e poi in una sola notte ribaltano tutto. Dedicano se stessi solo allo sballo, bevono come fossero uomini persi. Non so cosa cerchino, non riesco a capirlo e invece vorrei tanto esserne capace».

Qualche notte fa a Genova un’altra tragedia simile a quella di Positano. Harold Vivar Pluas, ventiquattrenne di orgini ecuadoriane, è morto all’uscita da una discoteca precipitando per dieci metri mentre cercava di recuperare la felpa che gli era caduta oltre un muretto. «E non è accettabile che accada una cosa così», dice Antonio. «Un padre può essere preoccupato se suo figlio si ammala, se non va bene a scuola, ma non può avere il terrore che suo figlio vada a ballare, non può passare quelle notti nell’angoscia di non vederlo più tornare. Non ha senso tutto questo».

Antonio lo ha scritto anche in un lungo post pubblicato su Facebook («Non si può pregare e sperare ogni volta nel miracolo ordinario di rivedere il proprio figlio riposare, al sicuro, nel proprio letto»), e «mi hanno contattato tanti genitori che certo non soffrono quanto sto soffrendo io, ma vivono nella paura, ogni volta sempre la stessa paura. Io non lo so che cosa si può fare per mettere fine a tutto questo. Vorrei pensarci ma è troppo presto, non riesco ad avere le idee chiare, devo ancora elaborare la mia tragedia, devo ancora fare i conti con il mio lutto. Però la morte di Nico deve rappresentare un punto di svolta, almeno deve servire a questo, deve essere un monito affinché non ci siano più altre famiglie distrutte come è capitato alla mia. Anche se, purtroppo, un altro caso c’è già stato». (Corriere del Mezzogiorno)

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