Ercolano. Due anni fa il naufragio del Rosinella con tre vittime. Le indagini proseguono a rilento

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È un secondo anniversario di domande irrisolte per i familiari delle vittime del naufragio «Rosinella», il peschereccio affondato il 19 aprile del 2016 al argo di Gaeta. Indagini lente e lungaggini burocratiche non consentono ancora di far luce sulle vere cause della tragedia in cui persero la vita il comandante 45enne Giulio Oliviero di Ercolano e i due marinai tunisini Khalifa e Saipeddine Sassi, padre e figlio di 49 e 24 anni. Le indagini, condotte dalla procura di Cassino – titolare il pm Marina Marra – proseguono a rilento e con lunghe pause che scoraggiano i familiari. Ad agosto 2017, infatti, il pm Marra aveva presentato il decreto di archiviazione del procedimento contro ignoti con l’accusa di disastro colposo. Di risposta era arrivato a settembre il sollecito di opposizione contro l’archiviazione impugnata dalla moglie del comandante Oliviero e armatrice del Rosinella, Rosa Imperato, rappresentata dal legale Vincenzo Propenso. Ma, sebbene siano trascorsi 7 mesi, il gip non ha ancora esaminato le ragioni dell’opposizione e non è stata ancora convocata la camera di consiglio per sentire le parti. La parte civile contesta la perizia del ctu della Procura, l’esperto di navigazione Giovanni Di Russo, con una perizia di parte realizzata dall’ingegnere navale militare Domenico Pisapia di Salerno e da quello meccanico Sebastiano Molaro. Per il ctu della procura il peschereccio sarebbe affondato in pochi minuti alle 21.40 del 16 aprile di due anni fa, per «superficialità nella gestione e nella manutenzione» e con un piano di sicurezza «contraffatto». Di Russo ha sottolineato che l’Epirb (sonar che si aziona a contatto con l’acqua) non sarebbe stato azionato e che la zattera di salvataggio sarebbe stata trovata legata a bordo del natante. Inoltre, che l’affondamento sarebbe avvenuto a causa della rottura di un manicotto del motore. Di converso la perizia di parte, in cui i tecnici hanno sottolineato che una barca di 28 tonnellate non può affondare in pochi minuti ma richiede almeno dalle 4 alle 5 ore. «L’affondamento del Rosinella – ha detto l’avvocato Propenso – è stato causato da fattori esterni. Attendiamo la convocazione della camera di consiglio, l’opposizione allo stato pende. Tuttavia è per questione di tempo: il procedimento non può essere archiviato non audita altera parte, senza ascoltare la controparte». Quindi ancora ansia e attesa per Rosa Imperato, che non vuole più rilasciare dichiarazioni, e per i tre figli del comandate Oliviero che non sanno ancora cosa sia veramente successo quella notte. Così per i familiari dei due tunisini, la moglie di Khalika Anah e i suoi sei figli che, oltre a non conoscere la verità sono finiti in miseria. Primo perché sono venuti a mancare due redditi a causa della tragedia, poi perché problemi burocratici tra Italia e Tunisia non hanno consentito ancora di recuperare i risparmi dei propri congiunti. Infatti, il conto corrente alle Poste in cui Khalifa e Saipeddine Sassi avevano in deposito i propri risparmi è ancora bloccato. «Abbiamo dovuto attendere i documenti che sono arrivati solo di recente ed anche molto confusi – ha detto l’avvocato Antonio Crisci, legale dei Sassi – ed ora aspettiamo che qui in Italia sia confermata la validità degli stessi. Così come per l’Inail, anche se la famiglia avrà diritto solo alla pensione del padre Khalifa». Khalifa non doveva essere su quel peschereccio: con i soldi guadagnati in Italia doveva aprire un locale in Tunisia e avrebbe già dovuto essere partito. Aveva lasciato il suo lavoro di marinaio al figlio Saip e quel giorno ha voluto guidarlo nel lavoro ancora una volta. (Francesca Mari – Il Mattino)

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