Lega – M5S prova d’ intesa, sgambetto a Romani per la Bernini che rifiuta. Berlusconi furioso

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    Salvini fa un clamoroso sgambetto al Cavaliere: vota un candidato di Forza Italia, ma al contempo toglie dal tavolo il nome di Paolo Romani su cui i Cinque Stelle avevano dichiarato la loro indisponibilità. Al dunque, Salvini fa una scelta che piace di più ai grillini (ai quali peraltro conferma che darà i voti alla Camera), che non al suo alleato. Piuttosto che provare a eleggere Romani con i voti del solo centrodestra, o cercare intese con il partito democratico, il leader della Lega sceglie risolutamente di puntare su un nome su cui Di Maio può far confluire i voti del Movimento, senza pagare l’insostenibile prezzo stabilito da Berlusconi: l’incontro ufficiale con lo psico-nano, secondo il nomignolo che Beppe Grillo affibbia nei suoi spettacoli al Cavaliere.
    Così infatti si erano lasciati: Forza Italia aveva avanzato il nome del suo capogruppo, Romani; i Cinque Stelle avevano rifiutato di votarlo perché gravato da una condanna per peculato (il cellulare di servizio in uso alla figlia); Berlusconi si era allora offerto di ridiscuterne, a condizione però di sedere intorno allo stesso tavolo. Un invito irricevibile per i pentastellati. In una situazione ancora bloccata, si era dunque aperta ieri mattina la seduta di Palazzo Madama. E in mezzo alle schede bianche della prima votazione, che certificavano il mancato raggiungimento di un accordo fra il M5S e il centrodestra, quella che era risuonata con forza era stata la voce di Giorgio Napolitano.
    Il Presidente emerito, riporta Il Mattino, , chiamato alla presidenza provvisoria dell’Assemblea, ha aperto la seduta sottolineando la «drastica sconfitta» del Pd, «respinto all’opposizione» dopo aver guidato tre esecutivi nella scorsa legislatura. Non proprio una dichiarazione di gentile benvenuto ai democratici e al senatore di Scandicci, Matteo Renzi. Accomodatosi silenzioso sugli scranni di Palazzo Madama, tra Teresa Bellanova e il fedelissimo tesoriere Bonifazi: «Ora sto zitto per due anni» è l’unica dichiarazione che rilascia ai giornalisti.
    Mentre l’Aula è riunita Matteo Salvini, da Montecitorio, fa la sua prima uscita. Neanche questa è un capolavoro di gentilezza: «Bye-bye Presidente» twitta, all’indirizzo di Laura Boldrini. Non è un ciaone, ma quasi. Scaramucce: la vera partita si gioca nell’altro ramo del Parlamento. Renato Brunetta è tra i più attivi nel ribadire la linea della coalizione: «il centrodestra ha tre leader e non è possibile parlare solo con uno. Noi abbiamo detto che i presidenti di Camera e Senato devono essere figure di garanzia e devono essere scelti di tutti. Se qualcuno non vuole sedersi con Berlusconi poco male, andiamo avanti». Perentorio: o si ragiona tutti insieme, e Di Maio stringe la mano a Berlusconi, o il centrodestra tirerà dritto sul nome di Romani. È il modo in cui Berlusconi prova a tenere legato a sé Salvini: se vuole essere il leader del centrodestra non può accettare i diktat di Maio su un suo alleato. Il Cavaliere pensa ancora che Salvini non romperà l’unità della coalizione, perché romperla significa presentarsi dai 5S in rappresentanza non del 37% dell’intera coalizione, ma solo con il 18% della Lega. Non gli conviene, è il suo ragionamento.
    Passa così mezz’ora, e Brunetta fissa nuovamente i paletti: «Oggi al Senato ci saranno due votazioni a scheda bianca, dalla terza votazione noi votiamo Romani, che è il nostro candidato ma anche di tutto il centrodestra unito». Un’unità che però si rompe subito, già nella votazione pomeridiana. Perché dalle urne non esce il nuovo Presidente del Senato; escono piuttosto i 57 voti della Lega per Anna Maria Bernini. Tutta la Lega compatta segue il suo Segretario, che senza consultare gli alleati prova a cambiare le carte. A uscire dal pantano, dice, ma per Berlusconi il leader del Carroccio sta, in realtà, uscendo dalla coalizione. E, per un atto del genere, così fragoroso, vi può essere una sola motivazione: Palazzo Chigi. I sospetti dei giorni scorsi si materializzano tutti in una volta: Salvini è la convinzione che comincia a farsi strada ha in tasca un accordo con Luigi Di Maio.
    Tutto il quadro politico entra in fortissima fibrillazione. I democrat, per bocca di Rosato, fanno subito sapere che loro non voteranno comunque per la senatrice azzurra. Questioni di metodo: quel nome non è stato concordato. Ma questioni di sostanza, anche. Perché in una situazione di stallo il Pd sarebbe potuto rientrare in gioco, promettendo i suoi voti alla Camera per eleggere un grillino, ricevendo in cambio sostegno per Luigi Zanda, o forse per Emma Bonino. L’asse Lega-Cinque Stelle li costringe invece a restare a guardare.
    Giorgetti, braccio destro di Salvini, prova intanto a minimizzare, e Giorgia Meloni a vestire gli inediti panni di pontiere. La leader di Fratelli d’Italia invita gli alleati a fare tutti un passo indietro. A tenere un nuovo vertice. A cercare ancora margini per ricomporre l’unità del centrodestra. Bisognerebbe azzerare tutto, par di capire, per cercare un’intesa su un nuovo nome. Ma è chiaro che per Berlusconi, ormai, il nome è l’ultimo dei problemi. Il problema vero è Salvini, che ai suoi occhi si è mosso non per dare un Presidente al Senato, ma per dare un governo al Paese.
    Lo aveva promesso, del resto, il capo della Lega: mai col Pd. Tutto il resto è possibile. Ma senza i voti del Pd, c’è poco da girarci intorno, l’unico governo che può avere la maggioranza, a meno di non voler dare vita a un governo tecnico-istituzionale (che Salvini ha sempre dichiarato di aborrire), è un governo coi grillini. Che però non ne del Cavaliere vogliono sapere: «Noi diciamo no a un Nazareno bis per legittimare Berlusconi che ha perso le elezioni», tuona il capogruppo grillino Toninelli. Più chiaro di così si muore: no a Berlusconi, sì alla Bernini. Ma si può leggere anche in questo modo: no a Berlusconi, sì a Salvini. E in tarda serata Di Maio rigira il coltello nella piaga: i pentastellati non hanno difficoltà a votare un nome di Forza Italia, va bene Anna Maria Bernini o anche «un profilo simile». L’unico che non va bene, insomma è Silvio Berlusconi. Sotto tiro (politicamente, s’intende) è lui. E, a quanto pare, ad averlo messo nel mirino sono insieme Lega e Cinque Stelle
    Per il Senato tutto torna così in alto mare. Dopo la rinuncia della Bernini, Berlusconi può decidere di insistere con Romani, cercando voti a sinistra ma spingendo pericolosamente la Lega verso un accordo col M5S anche per le presidenze del Parlamento: a quel punto, infatti, il Senato potrebbe andare ai leghisti, la Camera ai grillini. Oppure fare un terzo nome: capitolando, ma portando almeno a casa un risultato. In un caso e nell’altro, gli tocca prendere atto che Salvini non ha affatto intenzione di lasciarsi imbrigliare. E, in vista di Palazzo Chigi, il leader del Carroccio giocherà la partita esattamente allo stesso modo. Con la stessa, ruvidissima disinvoltura.

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