Napoli. Il maestro di strada Moreno: «Contro le baby gang non serve la cultura dell’urgenza, occorrono più controlli»

Cesare Moreno, maestro di strada, da anni attivo nelle periferie napoletane, non ci sta a incrementare il clima di cultura dell’urgenza sulle baby gang «perché fa parte delle patologie metropolitane ed è quella che nei fatti fomentale spaccature, diffonde la paura, aizza l’odio, pur avendo l’intenzione opposta». Che cosa non la convince di questa richiesta di rapide risposte? «Ci arriviamo, ma va affrontato subito un altro punto. A me non convince in generale il modo in cui i media trattano la vicenda delle aggressioni e delle baby gang». In che senso? «I media creano panico morale. Accumulano dati su dati, mettendo assieme episodi completamente diversi: il giovane che picchia la madre, le rapine, i furti, le risse per la fidanzatina. A leggere in fila tutto questo viene solo voglia di scappare». E che cosa provoca il panico morale? «La cultura dell’urgenza e dell’emergenza, appunto, secondo la quale bisogna bloccare subito il nemico. In realtà poi si scopre che non si sa chi è e dov’è il nemico. Dal punto di vista educativo tutto questo è devastante. Si crea solo confusione, nella quale ci si agita a vuoto». Cosa andrebbe fatto per evitare il panico morale e la cultura dell’urgenza? «Premetto che il clima elettorale ha amplificato la confusione su questi temi. Bisogna sviluppare una cultura di pace e non una cultura di guerra. La guerra si scatena in un giorno, la pace si fa negli anni». Ci vuole tempo. «Certo. Sono trent’anni che assisto a campagne d’emergenza e allarmi sociali a Napoli. Se dopo la prima campagna si fosse fatto un lavoro serio forse non saremmo ancora qui a parlarne». Che cosa serve per fare un lavoro serio? «La calma». E mantenendo la calma che cosa si fa? «Se qualcuno tra quelli che lanciano continui allarmi andasse a verificare cosa si fa davvero a Napoli scoprirebbe che ci sono in corso o in via di approvazione progetti per almeno 50 milioni di euro. Non ci sono solo i maestri di strada, ma decine di altri progetti. Anche il Comune di Napoli qual cosina la sta facendo, finalmente. Ci sono iniziative per assistere i genitori che non sanno fare i genitori. Ce ne sono da decine di anni. E tutto questo non emerge perché i media non ne danno adeguato conto». Quali sono i risultati di questo lavoro? «Che invece di avere venti aggressioni di baby gang ce n’è una sola». Quindi sarebbe un fenomeno in decrescita? «Questo non glielo so dire, perché non possiamo sapere che cosa sarebbe accaduto se non ci fossero i progetti messi in campo. So che in questo momento sto lavorando con venti ragazzi di periferia per mettere in scena uno spettacolo teatrale e questi ragazzi non sono in giro a cercare persone alle quali rompere le scatole». Quali sono gli effetti del panico morale sui ragazzi con i quali lavorate? «Accresce le tensioni invece di attenuarle. Quando i media puntano i riflettori su questi episodi sono visti come nemici perché generalizzano. Ci si rinchiude a riccio. Se si parla male di Ponticelli, ad esempio, tutti si schierano a difesa. Quando si spara nel mucchio scatta l’orgoglio di quartiere. I figli dei delinquenti, da parte loro, si auto gratificano perché si sentono soli contro tutti, quasi eroi». Non sarebbe peggio se i media tacessero? «Non ho detto assolutamente questo. È lontanissimo dal mio pensiero. Il problema è l’accumulo di fatti, è fare di tutta l’erba un fascio, non distinguere fenomeni diversi. Certe storie come quella di Arturo a Foria e di Gaetano a Chiaiano sono diverse dai furti o da altri episodi di criminalità. Quello che dico agli educatori, attraverso la partecipazione a dibattiti e con il mio blog, è di non perdere la pazienza, di usare la ragione. Quando ci sono queste ondate di panico si crea un effetto deleterio anche sui miei educatori perché pensano di stare perdendo tempo. Quindici giorni di fuoco come quelli che ci sono stati mettono in forse anni e anni di lavoro». Ritiene sufficienti le risposte istituzionali arrivate dopo questi «quindici giorni di fuoco»? «Che cosa è stato fatto? L’app della polizia, tre arresti di ragazzi che avevano armi e varie altre promesse. Siamo praticamente a zero. Se fossero stati potenziati i progetti che già sono in campo sarebbe stato meglio. È venuta l’ora di riorganizzare le idee». A chi, come Maria Luisa Iavarone, madre di Arturo, invoca risultati più rapidi lei che cosa risponde? «Su alcuni punti le risposte devono essere immediate». Ad esempio? «Le indagini devono dare risultati immediati. Devono arrivare risposte rapide sul controllo del territorio e non mi pare che ce ne siano. Serve un maggiore coordinamento tra le forze dell’ordine e le istituzioni. Poi ci sono risultati per i quali occorre tempo, anni e anni, come una seria crescita sociale e culturale. Ma soprattutto non bisogna illudersi pensando che in una realtà complicata come Napoli episodi come quelli che sono avvenuti non accadranno più. Non si possono mettere sotto controllo le eruzioni del Vesuvio, non si possono prevedere i terremoti, così, nonostante si faccia tutto il possibile, non si possono evitare episodi di “follia”». Ma forse la formazione di baby gang sì. «Le baby gang sono fenomeni organizzati. Chi le ha studiate sa che hanno strutture gerarchiche. Le aggressioni avvenute a Napoli sono frutto di aggregazioni temporanee e immotivate. E quindi più pericolose, perché si generano senza indizi premonitori. Sono chiorme di ragazzini che vogliono dimostrare, magari anche in modo inconsapevole, di controllare un territorio, in periferia come in centro. La risposta è qualche episodica retata. Non basta». (Pietro Treccagnoli – Il Mattino)

Commenti

Translate »