Il prezzo della bellezza in Italia nella Costa d’Amalfi e nel Cilento

Ripropongo  qui di seguito un pezzo che pubblicai qualche anno fa e che ritengo sia ancora di scottante attualità. Siccome è molto lungo sono costretto a dividerlo in due puntate; la prima la pubblico oggi e la seconda domani per dare ai miei lettori una visione unitaria del problema. Quella di oggi  è di carattere […]

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Ripropongo  qui di seguito un pezzo che pubblicai qualche anno fa e che ritengo sia ancora di scottante attualità. Siccome è molto lungo sono costretto a dividerlo in due puntate; la prima la pubblico oggi e la seconda domani per dare ai miei lettori una visione unitaria del problema. Quella di oggi  è di carattere generale ed è dedicata alla Costa di Amalfi. Quella di domani è concentrata sul Cilento. Ma le due parti sono interdipendenti tra loro.

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PRIMA PARTE

La Corte dei Conti accusa le agenzie di rating S&P, Moudy’s e Fitch perché nella valutazione del Pil d’Italia non avrebbero tenuto conto della ricchezza dei Beni Immateriali e del patrimonio artistico e culturale, storico e letterario del nostro Paese procurando un danno notevole alla nostra economia, dovuto al declassamento. E minaccia di aprire un contenzioso chiedendo un risarcimento danni quantificabile in 250 miliardi di euro o giù di lì. La notizia ha fatto il giro del mondo riportata con rilievo da tutti i media nazionali ed internazionali. Non sappiamo se la minaccia avrà un seguito e se finirà in un tribunale internazionale. Ma di sicuro ha posto un problema e non di scarso rilievo.
A questo punto è legittimo chiedersi: Ha un prezzo la Bellezza? E nel caso è equo quello ipotizzato dalla Corte dei Conti, stimato in 250 miliardi di euro, tanto a quanto ammonta la richiesta di risarcimento dei danni?

Io, personalmente, non ho alcun dubbio a dare una risposta negativa. Come si fa a valutare in termini economici il Colosseo o La Fontana di Trevi o la produzione pittorica di Raffaello, Caravaggio, Tiziano, Tiepolo, o il Davide di Donatello, o la Cupola di San Pietro, o il colonnato del Bernini? Ancora più difficile dare un prezzo in volgare denaro ai versi di Dante, di Leopardi, Foscolo, Manzoni e via via di tutti i grandi fino ai Nobel più recenti Quasimodo e Montale. E Lo stesso dicasi per i film che hanno immortalato epoche, personaggi e stili di vita  nel corso dei decenni: Rossellini, De Sica, Pasolini e, via via, tutti i registi, gli sceneggiatori, gli attori che hanno rappresentato l’Italia. A pensarci bene, a giudizio unanime, la risposta sarebbe (è): non c’è assolutamente prezzo per questa ricchezza e, forse, non basterebbero i 250 miliardi per comprare neppure uno solo di questi TESORI DI BELLEZZA, per quello che rappresentano in sé, ma soprattutto per quello che rappresentano nell’anima, nel cuore e nella mente dell’immaginario collettivo di un Paese come l’Italia; cosa questa che da sola non ha prezzo, perché è stata rivalutata dall’amore e dall’orgoglio di identità di tutto un popolo nel corso dei secoli. Pertanto, a mio avviso, sarebbe mortificante e degradante soltanto accettare la valutazione commerciale del bene. Proprio la sola idea della  venalità mercantile sarebbe come infliggere una FERITA A MORTE ALLA BELLEZZA, che per sua natura è vita ed immortalità. Immaginate per un attimo Gli Uffizi di Firenze senza la bellezza esplosiva d colori e di vita della PRIMAVERA di BOTTICELLI.

Ed ora proviamo a trasferire il discorso sul piano locale, nella Costa d’Amalfi e nel Cilento. Ha un costo quantificabile in denaro: lo spettacolo dalla balconata di Ravello sulle onde di terra e le scale di mare, ossificate da secoli da Minori a Capodorso, in una notte di luna che inargenta l’Avvocata ed il Falerzio a catapulta sul mare e, viceversa, il ricamo dei paesi su colline e montagne offerto da Capodorso con vista sui Lattari ad ampio raggio con in particolare il nido della “rondinaia” incastonato sull’ocra delle falesie di San Cosma, che scivolano al mare nella luminosità di un’alba chiara al primo sole o di un tramonto rosso fuoco che incendia cielo e mare? E quale è il prezzo del panorama che offre la balconata del Cerreto e/o di Sant’Angelo a tre pizzi spalancate  sul Vesuvio, da un lato, e sul mare della grande storia e  fino alle Eolie dall’altro, con il palcoscenico di un orizzonte sconfinato, fatto di acqua e fuoco, dove dirupa la bellezza dagli abissi orridi e bellissimi dei miti delle sirene ammarate a Li Galli, della “volpe pescatrice” nella gola dell’acqua verde del fiordo di Furore, delle storie  d’amore belle e impossibili ossificate negli scogli dei Due Fratelli a  Vietri? E, ancora,  quale è il prezzo delle chiese che rifrangono luce sulle cupole maiolicate e dei campanili agili che cercano cielo sulle colline con i ricami trapunti d’oro dei terrazzamenti di agrumeti dalla battigia verso il cielo da Conca a Cetara? E che prezzo ha Amalfi per quella cartolina rilucente di mosaici della facciata del Duomo in volo sulla scalinata aerea e per  i silenzi che alitano la grande storia della Repubblica nel polipaio dei vicoli, inestricabili gomitoli di bellezza che, all’improvviso, s’aprono a slarghi ariosi con il vociare sommesso di un popolo laborioso e creativo; e, soprattutto, quanto costa il concerto al chiaro di luna della cascata delle Ferriere che zampilla infiniti coralli d’argento e feconda storie d’amore intense, tenere e passionali insieme, inimmaginabili altrove?

E mi fermo qui rinviando a domani la riflessione concentrata sul Cilento, che costituirà la Seconda Parte di  questa interessante ed attualissima riflessione.

Giuseppe Liuccio

 

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