Schettino in carcere il giorno dopo, il suo dolore per la figlia

Meta, Sorrento  Roma Lapaura principale è il senso di claustrofobia, la totale mancanza di libertà. Lui che ha passato tutta la vita in mare, al sole, all’aria aperta, ora è costretto in una piccola cella con altri tre detenuti, nel reparto C6, la zona di osservazione temporanea del carcere di Rebibbia. La corte di Cassazione […]

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Meta, Sorrento  Roma Lapaura principale è il senso di claustrofobia, la totale mancanza di libertà. Lui che ha passato tutta la vita in mare, al sole, all’aria aperta, ora è costretto in una piccola cella con altri tre detenuti, nel reparto C6, la zona di osservazione temporanea del carcere di Rebibbia. La corte di Cassazione ha confermato la pena a 16 anni e, da due notti Francesco Schettino, comandante di grandi navi, abituato alla divisa bianca e ai capelli impomatati, deve fare i conti con la nuova realtà.

“È come se fossi ritornato mozzo – prova a esorcizzare la condizione -. Del resto ho cominciato dal basso e sono diventato comandante. Ma già la notte di gennaio in cui mi hanno messo in cella di sicurezza a Orbetello, dopo il naufragio, mi è sembrato di ritrovarmi proprio nella vecchia stanzetta da giovane marinaio. Così, non appena sono entrato qui, ho pulito il bagno che era sporco, e ho pensato: ok, ora bisogna reagire. Ricomincio da mozzo”.

Il penitenziario romano è stata una scelta personale. “Prima avevo deciso di costituirmi a Bollate, a Milano – spiega al senatore Aldo Di Biagio, membro della Commissione per i Diritti umani, che ieri è andato a trovarlo -. Ma poi, visto che ero venuto nella Capitale per stare lontano dal mio paese, ho preferito Rebibbia. C’è una ragione per tutto questo, ed è che non volevo che mia figlia dovesse fare la fila per venirmi a trovare a Poggioreale. Napoli è la sua città, magari qualcuno avrebbe potuto riconoscerla. E volevo evitarle quest’altro dolore”.

È un pensiero costante quello per la giovane figlia. Negli ultimi mesi, dopo aver scelto di seguire una vita molto più ritirata, l’ex comandante ha pensato a come garantirle un futuro. L’ha seguita e consigliata per una società che verrà gestita da lei, le è stato molto vicino. E venerdì scorso, quando ha lasciato Meta per venire nella Capitale, l’ha salutata preparandola al fatto che la decisione della Cassazione, quasi certamente, non sarebbe stata favorevole. E proprio perché voleva evitare che la ragazza potesse vederlo in manette, o prelevato dai carabinieri, è arrivato davanti al cancello di Rebibbia con larghissimo anticipo.

Ha bussato e ha chiesto al funzionario che lo guardava basito: “Per favore mi fate entrare? Lo so che la sentenza non è ancora stata emessa, ma voglio evitare di trovarmi accerchiato da telecamere”. I responsabili del carcere sono stati molto gentili. “Hanno manifestato grande comprensione nei miei confronti – si commuove l’ex capitano -. Mi hanno dato un panino per farmi mangiare qualcosa, mi sono sistemato su un prato all’interno e ho aspettato fino a quando è arrivata la telefonata dell’avvocato. Ma tanto lo sapevo che sarebbe finita così, già due giudici mi avevano condannato”.

La direzione del carcere sembra orientata a lasciarlo un po’ più a lungo nella zona temporanea, dove divide lo spazio con detenuti per reati meno gravi. Verrà trasferito più in là. Nella sua cella ci sono due letti a castello, lui ha scelto quello di sotto. E ieri, dopo aver mangiato intorno a mezzogiorno, si è messo il pigiama blu e ha provato a dormire. La visita del senatore lo ha svegliato, ma è stata anche l’occasione per ribadire quello che dice da sempre, anche se questa volta con maggiore consapevolezza: “Ho commesso tantissimi errori. I giudici mi hanno sentito per ben cinque udienze, e alla fine l’unica testimonianza della quale hanno tenuto conto è stata quella davanti al gip.

Rispetto la decisione della giustizia – è un fiume in piena – ma non è vero che ho abbandonato i passeggeri. Io ne ho salvati più di quattromila. Quei 32 morti mi pesano sulla coscienza, ho consapevolezza della tragicità di quanto accaduto, ma sono stato usato, strumentalizzato. I miei primi avvocati (ora ha gli avvocati Michele Senese e Donato Laino) mi hanno venduto alla stampa, hanno sbagliato tutta la strategia difensiva. Mi hanno fatto fare otto mesi di domiciliari e un anno in obbligo di dimora. Se mi avessero lasciato ai domiciliari, ora dovrei scontare un anno in meno”.

Ma c’è qualche sassolino che l’ex comandante vuole anche togliersi, ed è nei confronti della Costa. “Avevo più volte segnalato che non c’era formazione nei marinai e negli ufficiali – dice -. Gente assolutamente impreparata. Ho le mie colpe, ma la società ne ha molte di più”. Per questa ragione, prima di entrare in carcere ha registrato un video, nel quale lancia le sue accuse alla compagnia. “Verrà diffuso quanto prima”, chiarisce. Come passerà le giornate? “Voglio leggere e lavorare, e nel frattempo, dopo che arriveranno le motivazioni della sentenza, insieme al mio avvocato, presenteremo ricorso alla Corte europea. Troppo regole sono state violate”.

Dovrà scontare con precisione 15 anni, sei mesi e sette giorni, per effetto del periodo pregresso di custodia cautelare. Tra cinque anni (dopo aver espiato un terzo della pena) potrà chiedere di essere ammesso a misure alternative rispetto alla detenzione in carcere. “Mi è sembrata una persona lucida e cosciente – dichiara il senatore Di Biagio -. La speranza è che nel frattempo non lo trasferiscano in qualche reparto difficile. Ho visitato il C9, il personale è sotto organico, le condizioni sono devastate, l’impiantistica è distrutta. I detenuti stanno in sei in celle da quattro, alcuni di loro stavano imbiancando le pareti. Mi rivolgerò al ministro della Giustizia per chiedere di intervenire affinché si creino condizioni di maggiore vivibilità”.

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