Taormina. L’ex monastero va allo sceicco. Offerta del Qatar per l’hotel San Domenico Palace. Pronti 52,5 milioni

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    Lo sceicco del Qatar non è ancora il nuovo proprietario del San Domenico di Taormina. Ma potrebbe diventarlo molto presto. Come ha anticipato ieri il quotidiano “La Sicilia”, ci sono infatti buone probabilità che l’avvocato Giorgio Lener, liquidatore dei sei alberghi siciliani del gruppo Acqua Marcia, accetti l’offerta di 52,5 milioni di euro fatta dal gruppo Constellation, che fa capo alla famiglia regnante qatarina, per lo storico hotel taorminese. Il bando d’asta, al quale hanno risposto 15 investitori, vincolava la vendita del San Domenico a una cifra non inferiore ai 53,3 milioni, ma quella del Qatar è stata di gran lunga la più alta e difficilmente Lener rinuncerà a piazzare l’immobile per una differenza tutto sommato irrisoria. Tanto più che nessuna offerta è stata presentata per gli altri alberghi della procedura concordataria: l’Excelsior di Catania; il Des Etrangeres di Siracusa; le Palme, l’Excelsior e il Villa Igiea di Palermo. Non sarà la prima volta nell’Italia dell’ospitalità di lusso, per Hamad bin Jassim al-Thani, bulimico sovrano del piccolo ma ricco e potente emirato, che si è già assicurato fra gli altri alberghi come il St. Regis a Roma, il Gritti a Venezia, il Gallia a Milano, il Four Seasons a Firenze. Con il San Domenico l’emiro si appresta ora ad aggiungere alla sua collezione un altro gioiello carico di storia, memorie, polvere di stelle e, in questo caso, perfino di interessanti torsioni ideologico-religiose. Certo è difficile non notare l’ironia di un sovrano sunnita, grande burattinaio delle guerre per procura che dalla Siria al Sudan incendiano il Medio Oriente, amico dei Fratelli Musulmani e di Hamas, sospettato financo di finanziarie i terroristi di al Nusra e forse dell’Isis, che diventa proprietario di un ex convento domenicano, già faro della cultura e della civiltà cristiana tra il XIV e il XIX secolo. Tutto avrebbe potuto immaginarsi frate Girolamo De Luca, il pio domenicano che nel 1374 fondò il monastero sulle pendici del Monte Tauro, grazie alla generosa donazione del nobile Damiano Rosso, barone di Callura, di Pistopi, di Cameratrice e dei Principi di Cerami, tranne di vedere un giorno quel luogo avito diventare possesso di un principe musulmano. Tant’è. Non che i domenicani abbiano mai avuto vita facile fra quelle antiche mura fragranti di zagara e di gelsomino. Nel 1435, alla morte del barone Damiano, nel frattempo anche lui fattosi Domini canis, cane del Signore, i frati predicatori ereditarono il convento insieme a tutti i suoi beni. Non si trattò esattamente di un’eredità, ma ci vollero più di quattro secoli per scoprirlo. Accadde nel 1866, quando la Legge Mancini abolì gli ordini religiosi, disponendo la confisca dei loro beni, l’ultimo ospite del convento, il frate Vincenzo Bottari Cacciola, tirò fuori la pergamena originale contenente le ultime volontà di Damiano. Il monastero era solo stato dato in usufrutto all’ordine, dunque non era di sua proprietà, dunque il neonato Regno d’Italia non aveva alcun diritto di esproprio. Ci vollero anni di battaglie legali, ma sullo scorcio di fine secolo, i Cerami rientrarono in possesso del convento. Pochi anni dopo, venduto a una società che ne fece un albergo di lusso, cominciò l’avventura dell’Hotel San Domenico. Un luogo di grande magia. Le 40 celle dei frati trasformate in comode camere, dove minuscole finestrelle svelavano un panorama da sogno. I saloni immensi. La sagrestia odorosa d’incenso. Il mobilio d’epoca. I quadri a parete pieni di Santi e bellissime Madonne a far da cornice a balli e ricevimenti. Il chiostro che da luogo di preghiera e meditazione si faceva teatro di mondanità e riti pagani. Soprattutto l’incredibile giardino, il più bel proscenio dell’Etna, dove i frati avevano lavorato duramente per produrre il proprio sostentamento, diventato luogo di piacevoli indulgenze terrene, tra aranci, olivi, oleandri, roseti, bouganville, araucarie e cactus. Ospiti celebri, in tema con la crescente fama internazionale di Taormina. Il libro dei visitatori, in pergamena, racconta il passaggio di Re Edoardo d’Inghilterra e Thomas Mann, di Luigi Pirandello e Marlene Dietrich. E poi Ingrid Bergman, Audrey Hepburn, Truman Capote. Il cinema, lo spettacolo, la cultura, ma anche la Storia e la grande politica. Durante la guerra i nazisti lo scelsero come quartier generale, l’ingordo Goering amava gozzovigliarvi, per Himmler era la base delle gite sull’Etna. E fu tra il giardino e il chiostro dell’ex convento che nella notte del 2 giugno 1956 Gaetano Martino, Paul-Henri Spaak e Walter Hallstein misero giù la bozza della Dichiarazione di Messina, prologo dei Trattati di Roma. Spaak amava raccontare che la Comunità europea era nata al San Domenico. Decenni di cattive gestioni, complici investitori privati e pubblici senza qualità, non ne hanno diminuito il fascino, grazie alla dedizione delle maestranze. Una certa negligenza ha perfino salvato l’albergo da ristrutturazioni invasive. La magia è ancora intatta. Intatto è il genius loci monastico, capace di mettervi in soggezione ogni volta varchiate l’ingresso del San Domenico. Adesso sta per scoccare l’ora dell’emiro. Una volta avremmo detto «Mamma li turchi!». Oggi faremo bene ad accoglierlo in letizia. Probabilmente anche i frati domenicani lo avrebbero fatto. (Paolo Valentino – Corriere della Sera)

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