Nuovo fronte anti-Isis: Obama accelera. Libia, Usa contattano gli alleati tra cui l’Italia. Il Times: i piani di guerra

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    Stati Uniti, Russia e i loro alleati europei tra cui l'Italia stanno per aprire in Libia un terzo fronte di guerra contro l'Isis, dopo l'Iraq e la Siria. L'operazione contro i circa tremila combattenti che hanno preso il controllo della città di Sirte e sono infiltrati a Misurata e Kkoms, dovrebbe partire tra poche settimane secondo il generale Joseph Dunford Junior capo delle Forze armate americane, con l'utilizzo di artiglieria aerea e forze militari speciali. L'obiettivo è sconfiggere gli invasori del Califfato e impedire che si ricongiungano agli altri gruppi jihadisti che operano nell'Africa subsahariana. Un editoriale apparso sul New York Times ieri stigmatizzava i piani di guerra, che secondo il quotidiano sarebbero stati elaborati dalla Casa Bianca senza interpellare il legislativo di Washington. Nel momento stesso in cui il generale Dunford rileva l'esistenza del progetto, il ministro della Difesa Carter ha ammesso che il Pentagono sta programmando un livello di intervento più deciso in Libia, che comporterà il dispiegamento sia pure limitato e temporaneo di marine americani sul terreno di guerra. Secondo fonti di intelligence israeliana, l'operazione sarebbe già in pieno svolgimento. Il sito di Gerusalemme Debkafile ha scritto sabato scorso che un contingente misto di forze speciali americano, russo, italiano, francese ha preso posizione a 150 km dalla città costiera di Darna nelle prossimità del confine libico con l'Egitto, dove li attendevano mille soldati inglesi che avevano preparato il loro arrivo. I militari entrerebbero in azione dopo l'attacco delle navi da guerra che gli stessi paesi alleati lancerebbero sulle città costiere dove si trovano postazioni di Al Qaeda, Isis e Ansar al Sharia. Le forze già dislocate si aggiungerebbero ad altri soldati sbarcati dalle navi da guerra con il compito di riconquistare il controllo delle maggiori città: dalla capitale Tripoli a Bengasi, da Darna a Sirte, caposaldo attuale del Califfato in Libia. L'intervento degli alleati è precipitato dallo stato di confusione nel quale il paese è tornato da lunedì, quando il parlamento in esilio a Tobruk ha rifiutato di ratificare l'accordo negoziato dall'Onu per la formazione di un governo di unità nazionale che avrebbe dovuto riprendere le fila della sicurezza, allo sbaraglio dopo 5 anni di guerra civile. Decine di fazioni si sono battute tra loro dopo la deposizione del colonnello Gheddafi mentre il paese andava in rovina. La stessa forza della Petrol Facility Guard, un piccolo esercito di 27.000 uomini che avrebbe dovuto salvaguardare l'unica risorsa economia del paese, cioè i pozzi di petrolio, è ora accusata di aver favorito la rapina di 60 miliardi di dollari in greggio, fino a tentare una sua spedizione di 320.000 barili, puntualmente intercettata dalla marina Usa, alla volta della Corea del Nord. Ugualmente fallimentare è stato il tentativo dell'Onu di organizzare una forza militare libica contro l'invasore dell'Isis. Il presidente americano Obama sta sollecitando da tempo l'apertura di un dibattito parlamentare sulla crisi libica. L'atto legislativo sul quale si sono basati tutti gli interventi statunitensi in Medio Oriente e in Nord Africa negli ultimi anni è il voto successivo all'attacco terroristico dell’11 settembre 2001, e un nuovo dislocamento di truppe richiederebbe una discussione aggiornata al Congresso, al quale spetta in termini costituzionali la decisione per l'apertura di una guerra. I politici finora non hanno raccolto l'appello, perché siamo in un anno elettorale e ognuno sa che gli elettori sono decisamente opposti ad una nuova spedizione dei marine in un'area tanto lontana, dopo i fallimenti in Iraq e in Afghanistan. Obama ha detto anche che è pronto a intervenire d'imperio sotto il mandato del 2001 e la sua posizione che in altri tempi sarebbe stata criticata per abuso di potere sembra ora la linea più conveniente e forse quella che sarà adottata al momento di lanciare l'operazione. (Flavio Pompetti – Il Mattino)

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