Città della scienza. Dopo il no del gip i pm fanno appello al Riesame: «Il vigilante va arrestato: disinnescò l’allarme»

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Napoli. C’è piena coerenza tra le intercettazioni, le ricostruzioni offerte da due collaboratori di giustizia legati alla camorra di Bagnoli e alcune testimonianze messe agli atti. Eccole le conclusioni della Procura, dopo il rigetto degli arresti a carico di uno dei due vigilantes di Città della scienza. Dopo aver incassato il no alle manette per uno dei guardiani, la Procura ha rivalutato il materiale informativo raccolto in due anni di indagini e ha deciso di rilanciare la propria azione investigativa. È così che alcuni giorni fa – praticamente quasi allo scadere dei termini – la Procura di Napoli si è appellata al Tribunale del Riesame, per chiedere gli arresti dell’agente di polizia privata che la notte del 4 marzo del 2013 era in servizio notturno. Incendio e disastro sono i reati contestati dal pool guidato dal procuratore aggiunto Filippo Beatrice e dai pm Michele Del Prete e Ida Teresi, c’è la convinzione della validità degli elementi raccolti nel corso di questi anni. Alcune settimane fa era stato il gip De Ruggiero a respingere la misura cautelare di fronte alla mancanza di un movente e all’assenza di testimoni. Scenario complesso, gli inquirenti ci riprovano. Inchiesta corredata anche da intercettazioni telefoniche e dal verbale dei collaboratori di giustizia, a dimostrazione del fatto che in questi due anni non è stata esclusa alcuna pista. Subito dopo l’incendio di due anni e mezzo fa, vennero ascoltati anche due pentiti di camorra, riconducibili allo scacchiere criminale di Napoli ovest e indicati come legati a Domenico D’Ausilio. Agli atti c’è il racconto di un pentito che si è deciso a scrivere ai pm napoletani dopo aver saputo dell’incendio. Un pentito che racconta che tra il 2008 e il 2009 il clan D’Ausilio aveva concepito un progetto di incendiare Città della scienza, probabilmente per fini estorsivi. Racket, appalti, seguendo una strategia per altro già messa in opera contro imprese che avevano vinto lotti di lavori in zona, oppure contro negozi o locali pubblici riconducibili a imprenditori che non si erano assoggettati alla legge del racket. Una ricostruzione che per qualche tempo ha spinto i magistrati a seguire la strada della camorra, la pista del crimine organizzato o,comunque, di una convergenza di interessi: da un lato, qualcuno motivato a lucrare dalla pioggia di investimenti destinati alla ricostruzione del centro, dall’altro una camorra che punta a monetizzare in vista della riqualificazione. Ipotesi – bene chiarirlo – che nulla hanno a che spartire con la posizione dell’agente di polizia privata, che rispondeva di incendio in concorso con complici al momento rimasti senza nomi. Ipotesi e verifiche attese anche dal polo museale, rappresentato dal penalista napoletano Giuseppe De Angelis. Difeso dal penalista Luca Capasso, il custode ha sempre ribadito la correttezza della propria condotta, dicendosi pronto a dimostrare la propria estraneità al fattaccio del marzo 2013. Pochi giorni fa, il suo legale aveva anche insistito su un punto: «Siamo fiduciosi e rispettosi del lavoro della magistratura, ci auguriamo però che non si vada alla ricerca di un colpevole a tutti i costi». Ma in cosa consistono le accuse a carico dell’agente privato? Assieme a un collega, era l’unico che poteva disinnescare il funzionamento dell’impianto antincendio, oltre ad essere impegnato nell’ultima ronda all’interno del polo scientifico. Una serie di elementi non ritenuti idonei a giustificare l’arresto, che ora passano alla valutazione del Tribunale del Riesame, al termine di un’udienza che si celebrerà a porte chiuse. (Leandro Del Gaudio – Il Mattino)

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