Giugliano. Delitto del taxi, in manette fioraio di Soccavo sospettato di avere ucciso Luigi Simeone e la moglie

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Alle 5,30 del mattino lo hanno portato nel carcere di Poggioreale. Fermato dalla Procura di Napoli nord, accusato di concorso in duplice omicidio con altre persone da identificare. Un pomeriggio e una notte da incubo per Antonio Riano, 27 anni, un giovanottone del quartiere Pianura di Napoli sospettato di aver partecipato all’uccisione dei coniugi Luigi Simeone e Immacolata Assisi. Dinanzi al procuratore aggiunto Franco Greco, al pm Rossana Esposito e al dirigente del commissariato di Giugliano, Pasquale Trocino, Riano non ha risposto. Ha ripetuto, quasi come un disco: «Non so nulla, state sbagliando, io non c’entro». Aggiungendo, poi, di essere stato truffato perché su quell’appartamento erano stati fatti ben tre preliminari di vendita senza alcuna conclusione. Un giallo, con primo sospettato dopo quattro giorni. Giallo di due cinquantenni trovati morti, domenica scorsa, in una degradata cava in disuso tra Villaricca e Giugliano, chiamata Monticelli, a poca distanza da un fetido laghetto. Via Ripuaria è zona di prostitute, un mese fa fu chiuso un albergo a ore che ospitava appuntamenti sessuali a pagamento. Proprio in questa zona, una prostituta ha notato una Fiat Multipla bianca chiusa e ha intravisto dei corpi nel burrone della cava. Una telefonata alla polizia: «C’è qualcosa di strano, correte». Il sopralluogo, i due cadaveri identificati dopo qualche ora: sono i corpi di Luigi detto Gigi con due pallottole alla fronte, Immacolata detta Titti con un solo proiettile alla nuca. Nessuno si era accorto che i due non erano rientrati nella loro casa in via Colonne a Melito. Senza figli, con parenti sparsi tra Napoli e Aversa, nessuno si è insospettito se i due cinquantenni erano usciti sabato scorso senza tornare. In poche ore si sono decisi i destini di due vite. In poche ore è scattata la follia che ha spinto qualcuno a sparare. La sorella di Titti racconta che i due avevano progettato di trasferirsi ad Aversa dove abita anche lei. La sorella di Titti è una dipendente del Comune di Melito, spiega che, prima del trasferimento, i coniugi dovevano vendere la casa dove abitavano. C’era una trattativa in corso, giunta quasi al termine. C’era un preliminare di vendita con quasi centomila euro di anticipo. C’era un acquirente, proprio Antonio Riano, ansioso di spostarsi in via Colonne con la fidanzata. I due vivono con i genitori di Antonio a Pianura. Il giovane dà una mano nel chioschetto di fioraio del padre fuori il cimitero del quartiere. Lo dipingono come un ragazzo irruento ma tranquillo. Senza precedenti penali, senza grilli per la testa, con il desiderio di andarsene a vivere da solo con la sua donna. Il puzzle ha cominciato a dipanarsi da lunedì scorso. A sparare è stata una pistola di calibro 7,65, che non si trova. Di certo, i coniugi non avevano parentele scomode, non erano vittime di usurai, né di estorsori. Lui, Gigi, si era trasferito dal quartiere Materdei di Napoli con la moglie e aveva da tempo una regolare licenza di tassista che era il sostegno di famiglia. Nella vita i progetti contano e si intrecciano con quelli degli altri. La casa di Melito era in vendita e Antonio Riano l’aveva considerata l’ideale per le sue esigenze. Gli agenti del commissariato di Giugliano lavorano sentendo parenti e amici della coppia. Il taxi era fermo a pochi metri dal burrone della cava. Chiuso. Le chiavi non si trovano, proprio come la pistola che ha sparato e come la borsetta di Titti. Tre oggetti da recuperare, che gli inquirenti sospettano possano trovarsi in fondo al laghetto melmoso. La ricostruzione della poche ore di sabato antecedenti all’omicidio fa il conto su poche certezze: marito e moglie vanno a cena in una pizzeria nella zona di Varcaturo. Sono con degli amici. Poi hanno un appuntamento e la sorella di Titti dice di ricordare che dovevano incontrare l’acquirente della loro casa per definire alcune questioni in sospeso. Gli elementi nelle mani degli investigatori, che trovano spazio nel decreto di fermo giudiziario scattato per Antonio Riano, sono pochi, ma considerati sufficienti a disporre l’arresto per scongiurare l’inquinamento delle prove e il pericolo di fuga. Le telecamere su via Ripuaria e in altre zone di Giugliano hanno registrato la Fiat Multipla bianca del tassista seguita dall’auto di Riano. Poi l’elemento di prova considerato decisivo: nelle macchie di sangue del tassista trovate sul taxi c’è l’impronta del pollice del principale sospettato. «Abbiamo ritenuto ci fossero sufficienti elementi per affrettare e dare una svolta all’indagine», dice il procuratore capo di Napoli nord, Francesco Greco. Nel pomeriggio di mercoledì gli agenti vanno a Pianura nella casa dove Riano vive con genitori e fidanzata. Perquisiscono ovunque, gli sequestrano una seconda auto. Poi dicono di portarlo in Commissariato per accertamenti. In poche ore, tra silenzi e negazioni, matura il fermo. L’impronta, le immagini delle telecamere sono gli elementi che fanno ritenere agli investigatori che Riano abbia quantomeno partecipato al delitto. Non c’è certezza che abbia sparato, gli inquirenti sono sicuri che siano stati due o tre gli autori del delitto. Perché? Il movente ipotizzato riguarda la casa in vendita: o contrasti sui soldi ancora da versare o ritardi nella consegna concreta dell’immobile. Ci sarebbero state tensioni, una persona anonima ha raccontato telefonicamente al programma televisivo «Chi l’ha visto» di aver visto le due vittime con due giovani sulla trentina discutere in maniera animata. E di aver sentito la frase: «Ve la faremo pagare». Tutti i contorni restano da definire meglio. Sabato ci sarebbe stato l’appuntamento, sul taxi il marito guidava con accanto uno dei due assassini. La moglie seduta dietro con un altro. La discussione, la pistola, gli spari mortali. Non sono killer professionisti ad aver ammazzato. Se lo fossero stati, non avrebbero di certo lasciato il taxi a ridosso dei cadaveri. (Gigi Di Fiore – Il Mattino)

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